IL MUTO – racconto di Umberto Tanghetti
Il muto era muto davvero, non proferiva parola. Non so se ci sia un modo politicamente corretto per dire muto. Chissà come mai non sia nata questa esigenza. Per dire: il cieco è il non vedente, il sordo il non udente e il muto? Potremmo chiamarlo il non parlante.
Che poi a lui davvero non interessava questa storia del politicamente corretto, gli sembrava più una gran cavolata. Meglio un onesto “cieco” detto con naturale rispetto che un ipocrita non vedente, per fregargli la sedia.
Comunque, questo era muto e quindi il problema non si poneva nemmeno.
In paese tutti lo conoscevano, era il muto, appunto e quelli pensavano che non fosse neanche tanto arrivato.
Si vestiva in modo improbabile secondo gli standard “normali”, ma lui che era muto e quindi “anormale”, non ci faceva attenzione.
Questo pensavano gli altri e giù a darsi di gomito quando passava.
Pantaloni ascellari coi mocassini, la camicia sgualcita un po’ fuori, un po’ dentro e quegli occhialoni che, però, adesso, vanno anche di moda (Ma come, lui che era muto, allora ne sapeva più degli altri?).
Portava con sé sempre uno spago per passare il suo tempo, non si sapeva che lavoro facesse o se vivesse di rendita: non era inquadrabile da quel punto di vista, perché essendo muto, gli altri pensavano, non avesse niente da dire e nessuno chiedeva.
Non era né ricco, né povero, né alto né basso, né grasso né magro: era muto e per gli altri questo bastava.
Di certo non era prolisso, non sbagliava a parlare, sapeva stare al suo posto e bastava a se stesso. Aveva, in somma, le sue qualità dagli altri riconosciute.
Si spostava in paese scegliendosi un palo e a quello fissava il suo spago: lo faceva passare lì intorno tenendo le due estremità e poi cominciava ad attorcigliarlo.
Quando finiva, ricominciava.
E tutti, di nuovo, a darsi di gomito:
“Cosa fa con lo spago?”
Nessuno glielo aveva mai chiesto, perché, non potendo parlare, pensavano non avrebbe risposto.
Se qualcuno ne incrociava lo sguardo quando era al palo e stava avvolgendo lo spago, lui si arrestava e tirava il mento all’insù contraendo i muscoli del collo: sembrava, agli altri, un tic involontario, tanto che, per un certo periodo, presero a chiamarlo Tic Tac.
Il Tic Tac muto.
Addirittura uno di questi, dicendo Tic Tac, agitava la scatola delle caramelle finite: era muta anche quella, che crudeltà!
Però il muto pareva non accorgersi di questo contesto, cambiava semplicemente palo e lo faceva, secondo i Soloni, guidato dal caso più spiccio.
Un giorno Antonio uscì col suo cane a buttar l’immondizia.
Aperta parentesi: Antonio era uno ingenuo, onesto, brillante e per questo usciva col cane a buttar l’immondizia nello stesso momento, ché in quarantena questo è quasi un delitto!
Sdoppiare, Antonio, sdoppiare!
E possibilmente smezzare il pattume!!
Un’uscita val bene una messa in due sacchi! Chiusa parentesi.
Il cane vide il muto e subito si sedette arrestando la corsa. Il muto prese a tirare su il collo ed Antonio non sapeva chi guardare, si sentiva in profondo imbarazzo.
Anche il cane tirava su il collo, ma non puntava il palo, puntava proprio Antonio; pareva dire al padrone: “Ma non vedi che il muto vuole dirti qualcosa? Non vedi che ti indica il palo?”
E così ad Antonio sorse il dubbio ed alzò lo sguardo: non era un palo qualunque, era il palo che reggeva il nome della via e senza volerlo, lesse il nome ad alta voce:
“Via Rosa Parks”.
Il muto ammutolì..
Ah no,non poteva..
Il muto “smutolì”, gli si illuminarono gli occhi erano anni che cercava di dirlo, gli faceva male il trapezio! Quante sedute fisioterapiche per il collo contratto!
Che sciocchi quegli altri che non lo capivano!!
Antonio aggiunse due cose:
“Rosa, quella che un giorno pensò: “Sai che c’è? Io sono stanca!”
Si sedette e il mondo cambiò!
Il muto sorrise evidentemente felice.
Il cane che aveva capito il proprio ruolo e camminava orgoglioso pensando di avere fatto da interprete a due esseri umani, rideva di gusto marcando il cantone.
Lo incontrarono ogni giorno appoggiato ad un palo diverso ed era questo il gioco: andarlo a scovare.
Antonio lo salutava e alzava lo sguardo e sempre lanciava un commento:
“Via John Fitzgerald Kennedy, quello che un giorno per rimorchiare una tipa le disse: sali Marylin sulla mia Cadillac, ti porterò sulla luna!
E il mondo cambiò”
O ancora Via Martin Luther King quello che..:
“Beh sì è fatta una certa, vado a dormire e fece un sogno e il mondo cambiò”
Aveva capito, Antonio che il muto sceglieva ogni giorno un palo diverso per ricordare solo i nomi che a lui interessavano.
Via Salvo D’acquisto:
“Quello che alzò la mano e il mondo cambiò!”
Via Euplo Natali:
“Quello che adesso si può dire come andò e il mondo cambiò!”
Via Eduardo De Filippo quello che:
“Concè ffa ffreddo fùori? e il mondo cambiò!”
Antonio lo spiegò a tutti:
“Il muto parla! Ha un sacco di cose da dirci! Ma parla a suo modo!! Che stupidi siamo stati a non averlo capito!!”
Adesso che il muto è morto di polmonite interstiziale bilaterale perché tardi sono arrivati i soccorsi, tutti si chiedono cosa avrebbe il muto avuto da dire e lo immaginano col suo spago attaccato ai suoi pali.
Rimangono i nomi delle nostre strade che, infondo, basta leggerli per ricordare.
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