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Le bollicine degli altri e il prosecco con il fondo | BARBERA E CHAMPAGNE/10

Stefano Bergomi

di Stefano Bergomi* (stefano.bergomi@tin.it) – Era da un po’ che cercavo una storia e le parole per scrivere del prosecco.

In fondo gli argomenti da poter trattare sarebbero tanti, dal riconoscimento UNESCO quale patrimonio dell’Umanità per le colline di Conegliano e Valdobbiadene, al travolgente successo commerciale, tra le espressioni più significative e trainanti del Made in Italy nelle esportazioni. Ma ogni medaglia ha il proprio rovescio e anche nelle storie di successo non possono mancare alcune contraddizioni, che spetta al cronista attento indagare e sottolineare.

Così, da un lato il “fenomeno” prosecco ha permesso di distribuire rilevante ricchezza ai diversi attori della filiera del vino di Veneto e Friuli Venezia e Giulia, con ritorni su investimenti e redditività senza eguali ad altre latitudini enologiche, dall’altro però non sempre ha valorizzato la distintività di prodotto, confermando uno stile accattivante e per certi versi “ruffiano”, a beneficio di una platea di consumatori che potesse essere la più ampia possibile.

Altro aspetto da valutare è l’impatto ambientale arrecato al territorio di produzione. Da un lato si è registrato un impoverimento della varietà viticola, con l’imperante glera, vitigno utilizzato per la produzione del prosecco, a soppiantare altre produzioni magari anche storiche ma meno redditizie. Dall’atro la massiccia espansione del vitato ha trasformato inesorabilmente il paesaggio, assoggettandolo, nella sostanza, ad un regime di monocultura.

Argomenti tosti e che richiederebbero il giusto tempo e spazio per la trattazione e l’approfondimento.

La scrittura di queste righe è però stata accompagnata da qualche bicchiere di buon prosecco e, visto che va giù che è un piacere, sorvoliamo sugli argomenti difficili e concentriamoci su qualcosa di più leggero.

E allora eccolo lo spunto di partenza per una riflessione mirata: le dichiarazioni di Carlo Alberto Panont, direttore del Consorzio Valtenesi, che a margine di una conferenza stampa a commento della vendemmia 2019 auspicava la collaborazione tra i maggiori consorzi della Provincia di Brescia (chiamando alle armi anche quello del Franciacorta e del Lugana), per promuovere nella nostra terra la cultura dei vini di qualità, autoctoni e contro l’invasione del prosecco.

Se nella prima parte l’affermazione risulta condivisibile, in quanto un consumatore attento e preparato è condizione indispensabile per la valorizzazione di un vino di alto livello qualitativo, restano per me molte riserve sulla seconda. La voglia di sperimentazione è insita nell’animo curioso di chi vuole approfondire ed imparare; il presupposto di partenza è che ogni vino racconta la propria storia e ha, quindi, qualcosa da insegnare. Soltanto dal confronto tra diversi è possibile comprendere le caratteristiche peculiari di ciascuno, inoltre la sperimentazione aumenta la conoscenza, allena i diversi sensi coinvolti nel processo di valutazione, spinge a raffinare in ciascuno il proprio modello valutativo.

Prosecco con il fondo

Il mio consiglio di assaggio per l’avvicinamento al mondo del prosecco è rivolto alla tipologia “con il fondo”.

Dal punto di vista della tecnica di vinificazione è la riscoperta del metodo antico di produzione del prosecco, dove la seconda fermentazione avviene direttamente in bottiglia, e non nelle autoclavi (secondo il metdoto Martinotti), che invece caratterizzano la modalità di produzione del prosecco che potremmo definire standard.

Il procedimento con il fondo è quindi assimilabile alla produzione di bollicine da metodo classico, eccettuata la fase di sboccatura (degorgement). I residui dei lieviti di seconda fermentazione rimangono infatti all’interno della bottiglia, conferendo al vino connotazione torbida. La stessa si presenta con una chiusura con il tipico tappo a corona.

Il metodo permette la valorizzazione dei caratteri di aromaticità della glera. Il perlage delicato contribuisce all’esaltazione olfattiva, con sensazioni più fruttate che floreali, con sottostante l’inconfondibile ricordo di pane e lievito. Intriganti sentori fragranti, che accompagnano un sorso fresco e morbido, comunque piacevole.

Per le terre del prosecco è il vino della tradizione contadina, in quanto tale metodo permetteva la produzione casalinga del vino anche senza avere a disposizione mezzi specifici per la spumantizzazione.

MONGARDA, Glera col fondo, Colli Trevigiani IGT

Mongarda col fondo 2017

Mongarda è un’azienda a conduzione famigliare, fa parte dei vignaioli indipendenti, con terreni vitati a Col San Martino e Farra di Soligo, su colli terrazzati (anche di elevata pendenza) sulla strada del prosecco che va da Conegliano a Valdobbiadene.

Tra i vari assaggi effettuati mi ha colpito la loro “Glera col fondo”.

Il vino è di sostanza ma curato nei dettagli: raccolta manuale delle uve, vinificazione in vasche di acciaio e cemento con battonage, rifermentazione con mosto fresco proveniente dalla stessa vendemmia, anche valorizzazione di alcune varietà autoctone tradizionali, utilizzate in couvée con la glera.

Il vino, non sboccato, rimane non dosato e non aggiunto di solfiti. E’ classificabile nella categoria dei vini frizzanti, essendo caratterizzato da una pressione entro le 2,5 atmosfere.

Colore paglierino, con perlage fine e abbastanza numeroso. Al naso la prima sensazione minerale lascia poi il campo a note agrumate, con sottofondo di mandorla e fiori. In bocca l’attacco riporta all’agrume, ed evolve, soprattutto nella versione 2018, a frutta pienamente matura (anche pesca e pera), frutto dell’annata calda. Il 2017 rimane invece più circospetto, con sensazioni minerali più evidenti e ricordo di maggiore persistenza.

Chi lo produce racconta di un vino vivo, coraggioso e ribelle, il cui gusto cambia a seconda del momento storico dell’assaggio, dapprima elegante e successivamente fino a diventare aspro e ruvido a qualche anno dalla vendemmia. Consigliato l’assaggio entro i primi 2 anni per godere appieno della sua fragranza. Ma qualche curioso conserverà alcune bottiglie in cantina per approfondire il carattere di evoluzione nel tempo.

Perché in fondo è la curiosità che salverà il mondo, abbattendo il “sovranismo” enoico provinciale.

* sommelier per passione

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Redazione BsNews.it

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