The sound of train silence | IO, TE E IL TRENO / 16
Viaggiatore XY: “Ciao, mi chiamo XX e da 2 anni sono un pendolare, dipendente non per scelta e non perché da loro retribuito, dalle ferrovie italiane…”
Uscì di casa in ritardo come al solito, mamma e papà erano già in ufficio da un pezzo, e Kate sentiva il disperato bisogno di parlare con qualcuno. Aveva voglia di sfogarsi, di svuotare la mente e aprire il cuore, di condividere quanto le era accaduto la sera prima con chiunque fosse in grado di capire. Era una mattina di tiepido caldo primaverile, in cielo non si vedeva una nuvola e pareva il clima ideale per una lunga passeggiata tra i campi. Invece salì in macchina, portò leggermente in avanti il sedile, allacciò la cintura e si diresse verso la stazione, dove di lì a poco un treno l’avrebbe portata in università. Quel giorno però niente lezioni e niente esami, avrebbe partecipato ad un seminario organizzato dalla sua facoltà di psicologia intitolato “Conflitto e negazione nelle relazioni sentimentali”: proprio quello di cui aveva bisogno per acuire la sua tristezza. Avrebbe voluto parlare, lasciarsi andare e confidarsi, invece era lei a dover stare ad ascoltare gli sfoghi o gli insegnamenti di uno dei tanti pseudo esperti del tema. Il traffico era scorrevole, la musica dall’autoradio più che gradevole e in men che non si dica si ritrovò al parcheggio della stazione. Scese dall’auto, zaino in spalla e si diresse al binario 4, il treno era segnalato con pochi minuti di ritardo, nulla di grave o, comunque, anormale. All’altro capo del binario un ragazzo attirò la sua attenzione, alto ,snello, frangia fin quasi sugli occhi e inconfondibili occhiali da vista grandi e tondi. Non vedeva Claudio da un po’, era iscritto alla facoltà di ingegneria nella sua stessa città, ma, essendo impegnato in parecchi lavori saltuari, aveva scelto di non frequentare, dunque si presentava in facoltà solo in occasione degli esami. Solitamente avendo studiato poco, convinto che la sua ottima memoria e la sua parlata fluente lo avrebbero sempre tolto dai guai. Quel giorno però sembrava meno sicuro del solito, tanto che, Kate lo notò subito, stava ripetendo la lezione a bassa voce muovendo a malapena le labbra, musica in sottofondo nella sua testa. Appena la vide tolse immediatamente le cuffie, sistemò il colletto bianco della polo, dimenticò l’esame e la salutò con un ampio sorriso. Non si conoscevano molto bene, si vedevano di rado, ma quando capitava era sempre un bel parlare, spontaneo ed intenso. Lui era affascinato dal suo modo di fare e di vestire e dal suo vivere con passione tanto le radici italiane del padre quanto quelle inglesi della madre. Lei lo trovava buffo, non in quanto pensava fosse ridicolo, ma gli riconosceva una timidezza e un’originalità che la facevano sentire a suo agio. Presi i posti sul convoglio, Kate iniziò il suo partecipato e sentito sfogo, come se aprirsi con un mezzo sconosciuto fosse per lei la cosa più normale del mondo. Lui, dal canto suo, fu felice di ascoltare, in fondo aveva trovato una musica più dolce rispetto a quella che stava ascoltando poco prima.
Il racconto di Kate e le parole di conforto di Claudio fecero da sfondo al viaggio, e un confronto così bello e sincero fu reso possibile dal clima silenzioso e disteso attorno ai due ragazzi. Purtroppo ormai questo non è più possibile: la tranquillità sui treni non esiste praticamente più, la gente parla ad alta voce, grida al telefono con parenti e amici, è arrivata al punto di ascoltare musica dal cellulare senza l’uso degli auricolari. Come se l’intero vagone fosse interessato alle loro storie, come se loro fossero il centro del mondo, senza rispetto per il bisogno di relax e di serenità degli altri passeggeri. Serie televisive, musica trap, canzoni popolari indiane e africane, oggi sul treno senza averlo richiesto si sente di tutto, tranne l’unica cosa che forse si dovrebbe sentire: il silenzio.