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Vini in cartone, “Devo molto a quelli che non amo” | BARBERA & CHAMPAGNE/4

di Stefano Bergomi * (stefano.bergomi@tin.it) – Quando nel 1996 Wislawa Szymborska ritirava il premio Nobel per la letteratura, in molte redazioni affannati giornalisti ricercavano disperatamente informazioni biografiche, tratteggiando alla bell’e meglio un sommario profilo della scrittrice. Impresa ardua, soprattutto in Italia, dove in pratica nessuno la conosceva. Il riconoscimento, non scontato, premiava lo stile letterario della poetessa polacca, concettuale, per nulla estetico, intriso di una quotidianità dura come solo il ricordo di aver vissuto nel blocco ex sovietico sa essere, e per questo differente e distante dagli schemi concettuali occidentali.

“Devo molto a quelli che non amo” è il verso iniziale della poesia della Szymborska intitolata “Ringraziamento”. In apparenza una lode, malinconica, del non amore.

Tra passaggi illuminanti (“la gioia di non essere io il lupo dei loro agnelli”), traspare immediatamente la rilassatezza e l’appagamento nel potersi godere una relazione conviviale con qualcuno verso cui non nutriamo sentimenti di amore. Una suggestione tuttavia effimera, in quanto prima o poi bisogna comunque fare i conti con un amore che ci toglie il sonno e il respiro, che non ci fa stare sereni e che ci schiaccia.

Traslando il concetto, cercando di non banalizzare le riflessione della Symborska, il mio personale ringraziamento va ai vini quotidiani. Quelli comprati a pochi euro nei supermercati, e confezionati nel tetra pack. Generalmente caratterizzati da gradevoli sentori floreali e fruttati, giovani, non evoluti, dalla beva piacevole e fresca.

In effetti si tratta di vini a tutti gli effetti, con parametri di rispetto per alcolicità e corrispondenza sensoriale alla tradizione vinicola nazionale.

Possiamo affermare che sono il frutto dell’evoluzione tecnologica delle cantine italiane, elemento fondamentale che consente a noi oggi di bere vini qualitativamente migliori rispetto a quelli che hanno bevuto i nostri padri e nonni. E in prospettiva possiamo auspicare che ulteriori progressi ed evoluzioni consentiranno ai nostri figli e nipoti di bere vini ancora migliori di quelli di cui noi ci accontentiamo oggi.

Dall’altro lato però il rigore di lavorazione dei mostri, con pesanti filtrazioni, riduzioni, arrivando persino allo pastorizzazione, rischia di consegnare al consumatore un vino privo della sua anima. Nel suo libro “il mistero del vino” Louis Carpentier profeticamente già si interrogava sulla valenza del vino “denaturato”(oggi parleremmo di vino industrializzato),  “ma di quale qualità potrà mai essere un vino da cui ogni calore umano, ogni attenzione e ogni tenerezza siano state escluse? Grazie al vitigno e al sole si potrà certamente ottenere un buon vino, ma un grande vino?”.

Per giudicare bisogna prima aver assaggiato e il giudizio deve essere libero, non condizionato da preconcetti, è questo il mio mantra.

Molti dei vini in cartone assaggiati si sono confermati di discreto livello qualitativo, e comunque non cattivi. Seppure di persistenza gusto-olfattiva limitata, la relativa semplicità di espressione non ne costituisce un limite inqualificabile di penalizzazione, ma anzi rappresenta forse la vera qualità, unita naturalmente al prezzo fortemente concorrenziale. Perché ogni tanto è giusto prendersi delle pause dai “vini concettuali”, e bere soltanto per il gusto di farlo, senza troppo impegno.

In fondo, sono proprio questi vini che ci consentono di avere un termine di paragone, e quindi di poter meglio apprezzare l’emozione di scoprire, prima o poi, un vino eccezionale.


* sommelier per passione

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Redazione BsNews.it

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