Treni, fascino e imprevisti… | IO, TE E IL TRENO / 6
Viaggiatore XY: “Ciao a tutti, mi chiamo viaggiatore e da 2 anni sono una pendolare, dipendente, non per scelta e non perché da loro retribuito, dalle ferrovie italiane…”
Molte cose sono cambiate rispetto alla prima locomotiva che George Stephenson inventò ormai più di due secoli fa, nel 1814. Si trattava di una locomotiva rudimentale chiamata Blücher, adibita al trasporto di carbone nella miniera di Killingworth, nord-est dell’Inghilterra. Ecco perché il treno era, ed è tuttora, una delle massime fonti di orgoglio dei già di per sé orgogliosi inglesi, che possono pure vantarsi di essere stati i primi ad avere una ferrovia aperta al trasporto pubblico di persone e merci per mezzo di una locomotiva a vapore, la Stockton & Darlington Railway. Il merito di tale progetto? Di Mr. George Stephenson, of course. L’approdo del treno sulle coste italiane è pressoché immediato, e legato ai circa 7 km della tratta Napoli-Portici, inaugurata nel 1839. Da lì uno sviluppo pressoché inarrestabile, che all’inizio del 2018 ha portato a circa 5,5 milioni il numero di italiani che ogni giorno mettono anima e corpo sui sedili di un treno.
Ciò che rende molto affascinante quello che tuttora è, in Italia, uno dei mezzi di trasporto più usati e insultati è certamente l’eleganza sinuosa dei suoi movimenti, la stessa che un incantato Artemio, ragazzo di campagna meravigliosamente interpretato da Renato Pozzetto nel 1984, guardava sempre a bocca aperta. Il passaggio del treno nella campagna di Borgo Tre Case era l’evento clou della settimana, che nessun uomo degno di questo nome (alle donne era proibito, manco fosse il diritto di voto) poteva perdersi. La speranza era di ammirare ogni volta un treno più lungo di quello del venerdì precedente.
Sarebbe entusiasta, Artemio, di vedere quanto lunghi sono oggi i treni, che trasportano non solo merci, ma anche una quantità indefinita di persone, quotidianamente in movimento da un luogo all’altro, da una città all’altra, secondo un meccanismo diventato ormai automatico, istintivo. All’apertura delle porte ecco iniziare la bagarre per accaparrarsi i posti migliori. Tutto è lecito, incluse gomitate e spinte, pur di trovare la propria comfort zone e mettere al sicuro il proprio bagaglio. L’atmosfera a bordo è alquanto variopinta: outfit eccentrici, discorsi strampalati, litigate furenti per il mancato pagamento dei biglietti, bellissimi paesaggi che, soprattutto all’alba e in tarda serata, passano davanti agli occhi dei pendolari e dei viaggiatori occasionali nel tempo di un respiro. Su un buon treno non ci si annoia mai, al massimo si può tentare di dormire nella speranza di svegliarsi in tempo per scendere alla fermata desiderata.
I pendolari sanno benissimo che può accadere qualsiasi cosa e, chi prima chi dopo, hanno imparato a non stupirsi più di nulla. L’insidia di un ritardo spropositato si nasconde infatti dietro l’angolo come nella migliore delle imboscate e, in un secondo, ecco che i piani di un’intera giornata vanno a quel paese. Non a quello cui si era diretti in partenza. Un altro.
Più lontano. A quel punto è necessario essere pazienti, molto pazienti, ed aspettare con serenità che il guardiano cosmico di questo nostro incomprensibile mondo rimetta a posto i pezzi del puzzle e, soprattutto, delle tubature lungo la linea Verona-Brescia-Milano. Si dice che non ci sia nulla di più delicato di quella linea. Persino le ginocchia di Roberto Baggio pare fossero più resistenti. Non è più la stessa cosa, senza Roberto. Non lo sarebbe nemmeno senza il treno che, nel bene e nel male, riempie di senso le nostre giornate, ci dà motivo di essere divertititi o arrabbiati, ci fornisce argomenti di cui conversare con i nostri cari quando rientriamo a casa, la sera, un’ora e mezza dopo causa ritardo. Trenord si scusa.