“Il compito dei giornalisti è quello di offrire un contributo affinché la realtà prenda la giusta forma. Tra informazione e formazione non c’è grande differenza, nemmeno dal punto di vista etimologico. Vi auguro di essere persone cche facciano formazione attraverso l’informazione”.
A dirlo è stato il vescovo di Brescia, Pierantonio Tremolada, durante l’annuale incontro con i giornalisti bresciani (quasi 200 i presenti) che si è tenuto oggi al centro Paolo VI in occasione della festa di San Francesco di Sales, patrono della categoria. Dopo la messa, intorno alle 11, ha preso il via la tavola rotonda sul tema delle “buone notizie” moderata da don Adriano Bianchi (direttore della Voce del Popolo e presidente della Federazione italiana settimanali cattolici) alla presenza – oltre che del vescovo – del vicedirettore del Corriere Giangiacomo Schiavi (padre dell’inserto dedicato alle Buone notizie) e del presidente dell’Ordine dei giornalisti Lombardia Alessandro Galimberti.
Il vescovo, in particolare, ha posto l’accento sul fatto che “secondo la gente i giornali parlano sempre di cose che deprimono” e spiegato: “Mi piacerebbe sentire nelle notizie il calore di un sentimento, ma non sempre lo trovo”. “Oggi non siete molto amati, siete soprattutto temuti”, ha ricordato quindi Tremolada rivolgendosi ai giornalisti, “fate in modo di essere più amati che temuti: avete un compito importante, quello di farci sentire una grande famiglia. Ritengo siate uno dei soggetti fondamentali del vivere sociale”, ha aggiunto, “aiutateci a vivere la bellezza di essere uomini”.
Tra gli interventi dei presenti, uno dei più rilevanti è stato quello di Magda Bilia, collaboratrice di Bresciaoggi, che ha ricordato la difficoltà dei giovani giornalisti, in gran parte precari, a conciliare le esigenze e i princìpi citati dai relatori durante l’incontro con la loro attuale condizione economica e lavorativa.
Da segnalare, in chiusura, anche l’intervendo di don Bianchi che ha parlato di “gravi ricadute” sul sistema dei media per i tagli all’editoria definiti dal governo, parlando di “impoverimento del sistema” e aggiungendo: “Questo è l’esito di una politica che ha nomi e cognomi”.
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