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Salvare il Pd? Prima vorrei alcune risposte… | di Elio Marniga

di Elio Marniga – “Salvare il PD” non è solo un imperativo categorico; come tutti gli scritti di Bragaglio è soprattutto una miniera di spunti di riflessione.  Qualcuno è caduto addosso anche a me e qui cerco di esplicarlo sempre, naturalmente, nella mia nota immodestia, per dare una mano a costruire una zattera, magari sbilenca, di salvataggio.

Salvare il PD; quale PD? Quello che da mesi dice solo parole leggere come le foglie morte dei platani d’autunno? O quello che cammina a zig zag senza sapere dove andare? O quello che ciondola la testa credendo così di rimediare allo strabismo? Quello dove sette nostromi reclamano, ciascuno, il ruolo di nocchiere?

Per la verità Bragaglio una indicazione di quale PD è da salvare la dà: salvata, senza troppo entusiasmo, la “Carta dei valori”; tanto chi mai se la ricorda? si sbarazza di quei “miti” cui tanti iscritti, a torto o a ragione, con convinzione o con passiva accettazione, hanno fatto riferimento per anni.

Buttato il vecchio, deve, per forza, proporre il PD da salvare e lo individua in quello che a Brescia ha visto la grande vittoria di Del Bono.

Senonché Del Bono, a Brescia, oltre che per l’inconsistenza dei rivali, ha vinto proprio perché il Pd l’ha lasciato fare, limitandosi a fare da tabellone per le affissioni dei manifesti. Su quali temi si è mai sentito il PD bresciano dare indicazioni al Sindaco sul che fare?

Del Bono ha fatto la lista; Del Bono si è fatto accettare dai “corpi intermedi”, sull’esempio dei cinque sindaci citati da Bragaglio; Del Bono ha cercato le alleanze e con gli alleati ha fatto il programma; Del Bono è stato “ulivista”, ancorché facilitato in questo dall’assenza, a Brescia, di sinistrisinistri che firmano contratti di lavoro e poi vanno a disperarsene in bagno. Bravo il PD bresciano a lasciar fare; diamogliene merito.

In verità neppure Bragaglio crede tanto ad una delbonite nazionale tant’è che, dopo essersi pronunciato a favore di Zingaretti, auspica una “reciproca legittimazione” dei tre principali nostromi il che, tradotto in volgare, significa una spartizione equanime, che di per sé non è cosa riprovevole, se si individuano due o tre capitoletti della storia da leggere assieme.

Il fatto è che ancora tutti tacciono; prodighi di parole, che tutto dicono e nulla contengono, forse per eccesso di prudenza, (dove tira l’aria?) gli autocandidati nocchieri non mi hanno, finora, dato indicazioni sul come e con chi intendono operare. E io, di conseguenza, non so che fare.

Da tempo manifesto il desiderio e l’auspicio che il sipario si alzi su nuovi attori; anche il nome ho fatto di uno che la politica di sinistra la pratica ogni giorno, ma costui non è iscritto al PD e nessuno lo invita ad iscriversi. Ha scritto un libro che provoca perché chiede se “abbiamo rovinato l’Italia”, ma che anche dà speranza, il motore che fa muovere il mondo.

Così stando la situazione, non conoscendo io né Martina, né Minniti, né Zingaretti (stretto ordine alfabetico) per farmi decidere a favore dell’uno o dell’altro devo porre loro dei quesiti, semplici ma non troppo. Le risposte mi indirizzeranno.

Ne elenco alcuni, in disordine e, certo, non in modo esaustivo: la povertà, in tutte le sue forme, sarà il primo problema ad essere affrontato? L’amministrazione della Giustizia la si riforma con la suddivisione delle carriere o la si tiene ancora come utile supporto di lotta politica? La Scuola deve semplicemente allevare tecnici o essere anche strumento di promozione sociale, possibile solo attraverso la selezione meritocratica? La gestione del fenomeno immigratorio parte dal concetto che “prima io” è un sentire naturale o continuiamo a rubare il lavoro alla Caritas? La lotta all’evasione si farà adottando tutti i mezzi che la tecnologia ci dà o si continuerà a far girare finanzini da un negozio all’altro? La sicurezza è ritenuta un bene primario o ci si gingilla ancora a discutere sul reale e sul percepito?  La democrazia diretta è, come io penso nella nostra situazione e nel nostro tempo, la negazione della democrazia o si può anche adottare benevolmente? E infine ma sopra tutto: la libertà quale peso ha nei vari settori in cui si articola la società?

Quest’ultima domanda meriterebbe, da parte mia, una diversa e più complessa articolazione che prima o dopo esprimerò. Perché al fondo del disagio della sinistra, sta una domanda alla quale non si vuole rispondere perché la risposta fa paura, coinvolgendo essa storie e scelte personali consolidate. Eppure è una domanda semplice: “Libertà prima di tutto” oppure “Non c’è libertà senza Giustizia.”?

Perché io penso a due sinistre, che hanno chiaro riferimento ad una sola delle due affermazioni. Due sinistre che si compattano sull’uno o sull’altra affermazione; che chiedono consenso all’elettorato e poi fanno politica confrontandosi e ricercando, con i compromessi nei quali avrà più voce chi più ha voti, una linea politica comune.

Ecco, quando mi verranno date risposte, sceglierò. E salverò il PD.

 

 

 

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Redazione BsNews.it

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