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Salvare il Pd (da se stesso) uscendo dallo scontro su Renzi | di Claudio Bragaglio

di Claudio Bragaglio – Salvare il PD. Anche da se stesso, oltre che dalla paralisi che lo attanaglia dalla sconfitta del Referendum (2016) in poi.

Questo per me è l’imperativo ed il “perché” è presto detto. L’alternativa al disastroso governo Lega-M5S non può che esser costruita con il PD, non già senza il PD e tantomeno contro.

Il mio non è un canto partigiano. Non avrei neppure l’intonazione giusta, viste le critiche rivolte al PD, già in fase costituente e senza aver atteso Renzi. Che peraltro ho ritenuto un “figlio legittimo” di quel PD. Contrariamente a chi dell’anti-Renzi ora se ne fa pure un alibi per nascondere i propri errori precedenti.

Ma è il “come” del salvataggio il nodo più complicato.

C’è chi sostiene – candide anime – il ritorno al PD delle sue origini. Se si allude alla “Carta dei valori” ci sta. Ma se invece ci si riferisce alle scelte politiche, mi pare che ci stia ben poco. Mito delle primarie, vocazione maggioritaria, bipartitismo, indulgenze neoliberiste, il capo partito come capo di governo… una sequenza di scelte ormai archiviate. Dopo dieci anni senza una sola vittoria nazionale, persino quando il PD alle elezioni è giunto primo.

Il PD che ritengo debba essere salvato è una “comunità politica” già in cammino verso un nuovo orizzonte e con diverse leadership. Un partito che nelle città del Paese reale – come a Brescia, a Milano ed in altre città – ha vinto, ma con una politica ben diversa da quella nazionale. Con un PD di ampie coalizioni, alleanze sociali e civiche. Ulivista, si direbbe. Che s’è intermediato con il sociale, il mondo produttivo e del lavoro. Con un PD che ha costruito la “vocazione maggioritaria” del centro sinistra e non tanto quella velleitaria di se stesso, desertificando tutto il resto.

Il capolavoro di Del Bono è fatto di molte facce, ma fondamentale è stata l’inclusività di forze, culture e storie di centro sinistra. Delle sue varie vite e con sindaci come: Trebeschi, Padula, Panella, Martinazzoli e Corsini. Cosa peraltro non scontata, si pensi al recente disastro del pur vicino e longevo centro sinistra del Trentino.

Molte le cose diverse che mi ero augurato per il Congresso. Non le troppe candidature a segretario del PD, non lo snervante slittamento delle date. Neppure la strumentale contrapposizione tra renziani ed antirenziani, evocata persino a Brescia ed in Lombardia. Dove peraltro si sono invece tenuti Congressi nel quadro d’una dialettica costruttiva. E per merito di tutti quanti i Candidati.

A mio parere la contrapposizione tra pro ed anti Renzi oggi è cosa più di opposti “pasdaran” che son sopravvissuti, ma non già del corpo del partito che spera solo di sottrarsi a quella morsa.

Ma ora che si fa? Si rimane nel labirinto di recriminazioni, di vendette e revanscismi? Personalmente m’appellerei invece alla saggezza latina: “bonus ex malo”. Che più o meno vuol dire che anche dalle cose storte del passato può venircene un qualcosa di migliore.

Leggo sulla stampa delle regie occulte di Renzi in favore di Minniti e di Martina, contro Zingaretti. D’un Minniti e del suo “imprinting dalemiano”. D’un Martina candidato, ma “senza alcun perché”. Mi risparmio cattivi pensieri, ma non per ingenuità. Sostengo invece che è l’estrema gravità d’una situazione che mette in gioco persino la sopravvivenza del PD che ci obbliga a dover fare un falò di tali miserie ed a recidere i lacci stretti alla nostra gola. A varcare il futuro del PD, quand’anche nolenti e con le spalle rovesciate, come nel famoso quadro dell’Angelus novus di Paul Klee.

Quando i giocolieri di piazza – ritenendosi dei fenomeni – fan girare troppe palle in aria finiscono poi per ritrovarsele tutte quante a terra. Passando così dagli applausi ai fischi.

Ecco perché non m’appassiono ai retroscena di cartongesso. Ormai fuori tempo, fuori storia, spesso pure fuori testa.

Io sostengo Zingaretti. Ma, nel contempo, ritengo che nei tre candidati più significativi – Zingaretti, Minniti e Martina – possiamo cogliere la vera novità della sfida nel PD. Forse speranza, più che certezza, ma non vedo in loro né controfigure, né prestanomi. Ed il fatto – per me del tutto sorprendente – della loro comune provenienza dai DS spero sia motivo in più per non fare – tra Roma ed Albalonga – la brutta fine dei famosi tre Curiazi.

Il PD è già nei fatti scollinato oltre Renzi. Ma non per la mediocre ritorsione d’una pena dantesca che “rottama il rottamatore”, ma solo perché – come per tutti – è la ruota della vita. Che gira pure per un partito che voglia uscir vivo dalle sconfitte non con l’ipocrisia delle autocritiche, ma con nuove politiche e classi dirigenti. E’ quindi fondamentale una reciproca legittimazione dei tre candidati che varcano la soglia d’un nuovo PD. Lasciandosi alle spalle la logica di rotture e delegittimazioni, alimentate oggi solo da chi vuol far sopravvivere le ombre del passato.

Anche per questo ritengo del tutto naturale che le convergenze politiche nel PD registrate nelle Primarie territoriali – a Brescia come in Lombardia – non necessariamente si debbano riflettere a livello nazionale. Segno anche questo d’un clima costruttivo, d’un maggior ed aperto confronto che si getta alle spalle la stagione dei veleni che ha diviso il PD. Del “correntismo militarizzato” e dei pretoriani. E quand’anche – pure qui: “bonus ex malo” – il nuovo segretario non fosse eletto (com’è invece auspicabile) dagli iscritti, sarà l’Assemblea congressuale – che è un organismo di partito e non una “suburra correntizia” – a dover procedere al meglio per il nuovo PD del futuro.

* Assemblea PD Lombardia

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Redazione BsNews.it

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