Rischio idrogeologico, Massetti (Confartigianato): il pubblico deve investire di più

Nel corso degli ultimi anni l’economia italiana ha registrato una caduta degli investimenti pubblici che la rende più vulnerabile alle conseguenze dei cambiamenti climatici

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Eugenio Massetti
Eugenio Massetti

Nel corso degli ultimi anni l’economia italiana ha registrato una caduta degli investimenti pubblici che la rende più vulnerabile alle conseguenze dei cambiamenti climatici, come evidenziato in questi giorni dagli effetti disastrosi dell’ondata di maltempo in numerose regioni italiane. La spesa per investimenti è caduta da 49,9 miliardi di euro del 2010 (valutata in media triennale) a 35,4 miliardi di euro del 2017, con una riduzione del 14,5 miliardi, pari al -29,1%. Nel confronto internazionale, come evidenziato in una analisi di Confartigianato, l’Italia è ultima in UE per peso degli investimenti pubblici sul PIL.

«Dopo le tragedie che hanno colpito l’Italia da nord a sud, torna, come succede ogni anno, il tema della lotta contro il dissesto idrogeologico dei nostri territori. Per fare questo servono investimenti per salvaguardare il territorio esposto a rischio idrogeologico ma il nostro recente studio dimostra come invece si continui ad andare verso una riduzione degli stessi. Sulla base dell’aumentato profilo di rischio appare opportuno realizzare e gestire la manutenzione delle opere pubbliche necessarie per difendere famiglie, imprese e patrimonio culturale da frane e alluvioni. In questa prospettiva è auspicabile, come ha messo in evidenza Confartigianato, un rafforzamento dei maggiori investimenti pubblici pari allo 0,2% del PIL nel 2019 e allo 0,3% nel 2020 e 2021 previsti dal disegno di legge di bilancio 2019, correggendo lo sbilanciamento sulla maggiore spesa corrente» commenta il presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia Eugenio Massetti. Un’analisi dei dati Eurostat evidenzia che le perdite economiche per disastri naturali sono ingenti e tra il 1980 e il 2016 in Italia valgono 1.072 euro pro capite, il 25,8% in più della media UE di 852 euro.

Senza contare che proprio da quella Ue per molti considerata “matrigna”, secondo i dati del ministero per la Coesione, si sarebbero dovuti utilizzare 1,6 miliardi di euro, in 14 anni, nell’ambito dei programmi Fesr 2007-2013 e 2014-2020, ma l’Italia ne ha spesi appena il 20%. Stiamo parlando di circa 700 interventi presentati dalle regioni italiane per la messa in sicurezza del territorio di cui conclusi appena 333, meno della metà, per un ammontare di pagamenti ricevuti che si aggira sui 320 milioni di euro. «Incapaci a spendere: se si guarda alle risorse stanziate nel vecchio Fesr e a quelle programmate fino al 2020, l’Italia ha a disposizione entro quella data 1,6 miliardi di fondi europei e in sostanza, siamo a poco meno del 20% del loro utilizzo. Fondi che dovrebbe interessarci, a maggiori ragione, visto lo stato dei nostri conti pubblici e la possibilità di richiesta a Bruxelles di non considerare queste spese nel calcolo del deficit» aggiunge il presidente Massetti. Sempre Confartigianato rileva che le unità locali di imprese (un’unità locale corrisponde a un’impresa o a una parte di un’impresa situata in una località topograficamente identificata) esposte a rischio alluvioni in Italia sono 596.254 (12,4%) nello scenario a pericolosità idraulica media, con 2.306.229 addetti esposti (14%). Le unità locali di imprese a rischio in aree a pericolosità da frana – elevata e molto elevata – sono 82.948 pari all’1,7% del totale, con 217.608 addetti a rischio.

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