Ugo Aldrighi e la nostra Brescia | MOSTRAMI UNA MOSTRA/39
di Enrica Recalcati – La Fondazione Provincia di Brescia Eventi, in collaborazione con la Fondazione Dolci, propone a Palazzo Martinengo, a centanni dalla nascita, una mostra dedicata a Ugo Aldrighi.
Ugo Aldrighi nasce il 13 marzo 1917, nel centro di Brescia, in quel Carmine, intreccio di molteplici tipiche presenze, che sarà il suo credo per sempre.
Un atto di fede alla sua amata città e ai suoi luoghi più caratteristici e popolari.
In questo teatro si forma e cresce alla luce del quartiere, in una comunità così ricca di spunti e di storie da riempire un dizionario enciclopedico.
A dodici anni già lavora come garzone in salumeria, decide poi di iscriversi alla Scuola professionale Moretto, dove apprende il mestiere della grafica e della decorazione.
Inizia a sperimentare la pittura, malgrado la guerra e la malattia. Si ammala di tubercolosi, ma non smette mai di esercitarsi. Passa tre anni in sanatorio a Bormio che lo mettono a dura prova, senza togliergli la voglia di apprendere e crescere in arte.
Si iscrive ai corsi serali della neonata Associazione Arte e Cultura (ora AAB) e qui conosce il maestro Emilio Rizzi.
La prima esposizione nel 1945, organizzata dalla Associazione. Nel 1946 si sposa con Clara Filippini e dopo due anni nasce lunica figlia, Livia.
Alla moglie dedica molte sue opere, testimonianza di un amore grande e sincero.
Per mantenere sé e la propria famiglia lavora in una piccola impresa di verniciature come decoratore.
Nel 1970, dopo aver partecipato a un concorso a Monticelli Brusati, viene colto da infarto e questa nuova drammatica esperienza, cambia la sua vita.
Lascia il lavoro per dedicarsi completamente alla pittura. Complice il collezionista bresciano Rinaldo Novaglio che lo incoraggia e lo sprona consentendogli di esporre regolarmente le sue opere. Sul catalogo del 1973, intitolato Ugo Aldrighi, la mia Brescia Novaglio scrive: una vera e propria folgorazione: rimango letteralmente scioccato dal suo estro e dai suoi colori, la sua amicizia rivela un personaggio davvero straordinario.
Dal 1972 un susseguirsi di premi e successi personali: Monticelli Brusati, Lumezzane, Milano. Espone a Brescia, sul lago di Garda e dIseo, a Montisola, Gargnano, Desenzano, Sarezzo, Leno, Concesio, Visano, Bergamo, Borgosesia, Pietrasanta, Ferrara.
Attira lattenzione di critici importanti come Luciano Spiazzi, che nel 1975 annota: Nelle facciate delle case dei suoi quadri il popolo sbotta fuori dai pertugi, vuol curiosare, vedere il prossimo pettegolare Sono abitazioni vissute da sempre dentro ci passa la linfa delle vicende quotidiane.
Nellinverno del 1972 è tentato da Parigi e invia alcune opere alla rassegna Salon international de lart libre, ricevendo alcune segnalazioni. Lanno successivo partecipa al premio Art libre de Paris e vince una medaglia doro che però ritirerà la figlia.
Dal 1974 al 1979 i suoi quadri sono presenti in parecchie rassegne nel bresciano e il suo nome compare nel noto catalogo Bolaffi.
Dal 1975 al 1984 dà il suo contributo in AAB, prima come consigliere e poi come revisore dei conti, impegno che interromperà poi per motivi di salute.
Nel 1986 espone le sue opere presso la Piccola Galleria Ucai, ma purtroppo nello stesso anno subisce un ictus cerebrale. La malattia gli procura il distacco della retina, per cui la vista rimane compromessa.
Con fatica continua comunque a disegnare e dipingere e il suo tratto si appesantisce, le figure sono marcate, dai contorni più solidi, qualcosa cambia anche nello stile.
Larte non è mai una condanna della vita e del mondo. Al contrario, è lo strumento per cercare di riprendersi la vita che in parte le vicende sfortunate hanno negato scrive Vittorio Sgarbi, che ha ben compreso questo periodo così duro per Aldrighi.
Per lui sarebbe stato un guaio non poter dipingere, il non prendere in mano il pennello gli dava una terribile malinconia.
Da qui la sua vita fra alti e bassi dumore e sogni, compreso quello di vendere quadri e averne soddisfazione, si deve scontrare con la salute che lo obbliga a ritmi blandi e momenti dimpasse.
Ugo Aldrighi però è un uomo che ama la vita e la sua famiglia, dalla quale trae la linfa benefica per andare avanti.
Malgrado le difficoltà la sua arte cresce e si trasforma, dallimpressionismo delletà giovanile allespressionismo di quella matura e consapevole della propria intenzione espressiva. Le mostre del 1996 a Brescia e del 1999 a Orzinuovi riscuotono un grande interesse.
Un uomo che ha sempre conservato la verve dellottimismo, nelle piccole e grandi cose della vita. Una foto lo ritrae con in mano un bicchiere di vermut e al collo una bavaglia con scritto: Non baciatemi poco!.
Muore il 27 luglio del 2003, illuminando dimmenso, anche a posteriori, il panorama dellarte bresciana. Le sue antologiche post mortem sono un crescendo di successi per le emozioni forti che i suoi quadri sanno trasmettere.
Febbricitante in rosso il Martinengo per questa mostra, così bella, così calda, davvero speciale.
Il rosso è il primo colore del mondo. Il primo colore usato nelle tinture, costoso e indossato solo da nobili, imperatori e cardinali. Il colore del fuoco, del sangue, della rivoluzione. Il colore del vino, dellamore, della passione. Un universo di significati e molteplici emozioni.
Emozione la parola giusta, e non ne trovo altra per definire la sensazione che si prova nel vedere questi quadri.
Nella prima sala La Pallata dal nostro balcone di via delle Battaglie, le Fornaci, i Pesci, Venezia dipinti dal 1948 agli anni 50 quando lartista si firmava Hugal. Qualcuno dice per non confondersi col padre o per la moda francofona del tempo. Io penso invece che amando Chagall e, sentendosi in sintonia con la sua pittura, ne abbia parafrasato il nome in modo goliardico.
La sala della Curt dei Pulì presenta quadri dal 1970 al 1982, tutti con un unico soggetto. La famosa piazzetta nel cuore del Carmine cittadino animata da personaggi e situazioni tipici: lavandaie, il campanile di S. Giovanni, la nutrice, la gatta Ciacci, la corda con secchiello, il suonatore di fisarmonica, il venditore ambulante, il fruttivendolo, il maringù. Dodici quadri che raffigurano la stessa piazza in diverse ore del giorno. Mi è difficile staccare gli occhi da quelle pitture, ogni particolare è una scoperta, e il fluire delle azioni, con il passare delle ore è scandito da un immaginario pendolo magico. Vivezza ed effervescenza dei colori, in quel rosso vivo dominante che è passione, amore per la città che vivi e dipingi.
Le finestre aperte sul mondo, una generosa mano sempre tesa, mi trasmettono unonda di benefico ottimismo, un umanesimo traboccante di gioie. Cogli quellattimo ci dice Ugo Aldrighi, fanne tesoro, perché non sempre la felicità è di casa. Infatti le nubi che dipinge rosse, contorte e dal fascino fauvistico, non sono altro che un presagio, un monito per ricordarci quanto sia importante apprezzare i momenti belli.
Un filosofo dellarte, ma anche un sociologo, intriso di amore per la sua Brescia. Lo vediamo nella sala dedicata al Carmine con spaccati di vita popolare. Le figure tipiche, le maschere, le feste: la Brutuna, El Ciula, le prostitute.
Piazza Rovetta, San Faustino, Brusom la Ecia, Porta Bruciata, Rua Sovera, il Mandorlo di via Nino Bixio, la Pallata. Largo Formentone e il Garza sotto il ponte a Borgo Trento, la provincia con Tavernole, Gavardo, Montisola, Gussago, la Valtenesi. Gli ulivi di Sensole, dai colori accesi e caldi quasi fossero ad infrarossi. Citria, i Ronchi e le ultime nature morte, grandi tavoli con fiori e vasi di enormi proporzioni.
I suoi disegni preparatori fatti su carta da pacchi con pennarello nero sono stupendi, e mi dicono quanto fosse bravo a disegnare.
Si confezionava da solo le tele, mi confida la figlia Livia, usando grossi sacchi di juta utilizzati per il trasporto del caffè, impastando colla di pesce e gesso per limprimitura. Solo così era sicuro di ottenere leffetto voluto, e aveva ragione.
Un uomo, Ugo Aldrighi, che ha amato tanto la sua famiglia e la sua città.
Merita tripudio, il meritato compenso che Brescia riconosce ai suoi grandi uomini.