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Integrazione e modernità: qual è la risposta bresciana? | di Sandro Belli

di Sandro Belli – Spesso capita che una questione terminologica divenga una lite. Sia oggigiorno sia nel passato una diversa interpretazione di una stessa parola ha fatto nascere insanabili contrasti. La parola ‘ integrazione ‘. Molto nominata dai politici, dai religiosi e dai giornalisti, da alcuni indicata come la via obbligata per la soluzione della difficilissima questione dei migranti, da altri contrastata o per lo meno snobbata.

In senso più limitato, per ‘integrazione’ si intende semplicemente il fatto che gli immigrati rispettino le leggi italiane, sopratutto il Codice penale. In altre parole par che si dica: fate ciò che volete, ma integratevi, cioè evitate atti criminali o comunque illeciti.

Un senso più pieno del termine, oltre a prevedere il rispetto delle leggi, richiede un ravvicinamento più stretto al nostro modo di vivere e di pensare, una spinta generosa (così crede chi spinge) verso una assimilazione dello straniero. Non importa se gli si chiede, più o meno inconsciamente, di dimenticare le proprie specificità, le tradizioni e gli usi del suo popolo. Si deve integrare, cioè deve eliminare le diversità! Glielo si chiede per ‘il suo bene’, accompagnando spesso questo atteggiamento con atti di generosa accoglienza.

Facile dire: fra i due significati della parola, è preferibile restare nel mezzo.

Personalmente penso che il rispetto delle nostre leggi e dei nostri usi sia doveroso e imprescindibile, ma all’integrazione forzata o comunque basata sull’assimilazione dello straniero e sulla cancellazione della sua specificità, io non credo. Credo invece nel rispetto e nella valorizzazione di caratteri, usi e costumi, valori spirituali ed estetici diversi. Credo nello straordinario ‘dono del cielo ‘ che è la ‘diversità delle creature ‘ e la varietà delle culture.

Certo non facile dare supporto e assistenza, e sopratutto accoglienza rispettando la nostra disponibilità di popolo e la differenza di tradizioni e di etnie che spesso fanno fatica o addirittura non vorrebbero smarrire la propria specificità. Questo è il problema.

A questo punto, fatta chiarezza sul termine ‘ integrazione’ mi chiedo: Brescia è disposta ad accettare unicamente la prima interpretazione del termine (la nostra gente, cioè accetta solo che il migrante rispetti le leggi) oppure accetta anche una integrazione più spinta, più confidente? Penso che su di un tema di tal rilevanza sociale valga la pena di indire un referendum, in modo che la nostra provincia si pronunci liberamente.

Personalmente ritengo che mentre la prima forma di integrazione (rispetto delle leggi) sia assolutamente imprescindibile, la seconda forma debba essere soggetta ad una seria cernita, sia perché molti immigrati non desiderano integrarsi completamente, sia perché la nostra comunità bresciana, nel suo insieme, debba creare dei distinguo e delle regole, al fine di permettere una armonica convivenza.

Una risposta possibile

Frequento da anni questa terra – la Tunisia – che, posta nel nord del continente africano, non può non avere da sempre un complesso mischiamento di etnie. Non mi ero mai accorto di un difficile rapporto fra bianchi e neri. Sempre mi veniva detto che il popolo tunisino era tollerante e che non esisteva alcuna differenziazione di razza. Oggigiorno, sopratutto dopo la rivoluzione ‘ dei gelsomini ‘, pare stiano emergendo gravi situazioni di razzismo contro la popolazione nera (circa il 20% nel Paese). Iniziati nelle città di Sfax, Monastir e Biserta, sopratutto contro le donne di colore, compaiono frequenti episodi di discriminazione e di disprezzo e parallelamente, come sempre accade, si moltiplicano le associazioni per la difesa dei diritti della popolazione nera. Incredibile.

Solo nel mondo dei bambini molto piccoli non c’è razzismo… poi, ovunque, dove più e dove meno, spunta e si diffonde questa malattia del genere umano. Forse il rimedio è proprio cominciare dalla prima infanzia, ad es. da una piccola squadra di calcio dove tanti Balotellini e tanti Caracciolini di due anni si abituano a giocare e a confrontarsi.

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Redazione BsNews.it

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