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LA LETTERA. Il Bigio in piazza Vittoria? Meglio il vuoto urbanistico

Caro direttore,

giusto quattro anni fa il Ministro Franceschini dava risposta alla mia interrogazione, con cui sollecitavo il Governo a prendere posizione sulla possibilità di una ricollocazione in Piazza Vittoria a Brescia della statua intitolata “L’era fascista”, a suo tempo ribattezzata dai bresciani “il Bigio”. Com’è noto, la piazza progettata dal Piacentini e inaugurata da Mussolini nel 1934, rappresenta una delle massime espressioni della corrente artistica razionalista. Al centro della Piazza l’imponente statua “L’Era fascista” di Arturo Dazzi, abbattuta all’indomani della Liberazione, raffigurava un uomo nudo nella classica iconografia fascista della virilità maschile. Con la risposta alla mia interrogazione era la prima volta che il Governo prendeva una chiara posizione contro la ricollocazione del “Bigio”. Nella sua risposta il ministro annotava: “nella scelta di adottare per la configurazione della piazza, questo Ministero è consapevole che non si possa prescindere in alcun modo dalla sensibilità e dai sentimenti della città, quali espressi dal sindaco, ricordando che Brescia subì, in una stagione cupa della storia d’Italia, una ferita tuttora sanguinante ad opera di un terrorismo che tanti elementi inducono a ricondurre alla matrice neofascista”. All’epoca accolsi con grande soddisfazione la risposta del Governo, consapevole che se da un lato non sia giusto oggi rimuovere nel Paese le opere d’arte di quella corrente artistica, che accompagnò in Italia il Ventennio fascista, dall’altro risulti del tutto inopportuno pensare alla ricollocazione oggi di questa statua “L’era fascista” a pochi metri da Piazza della Loggia e dal luogo che fu teatro nel 1974 di una delle più terribili stragi neofasciste.

Nei giorni scorsi, nell’ambito della mostra antologica dedicata a Brescia a Mimmo Paladino, nello spazio vuoto un tempo occupato dal simbolo fascista, è stata issata una grande statua in marmo nero, una stele che in qualche modo fa ripensare alla statua del Dazzi, seppure i due artisti appartengano a diverse correnti artistiche e le due opere abbiano ovviamente un significato ben diverso. Da profano e pur senza voler assegnare all’opera del Paladino significati che non ha, ho trovato in qualche modo suggestivo l’accostamento involontario fra le due opere d’arte, quasi che l’opera del Paladino, facendo ripensare a quella del Dazzi, con questa sua imponente materialità scura all’interno della Piazza altrimenti caratterizzata dalle linee bianche e pulite tipiche della corrente razionalista, faccia così emergere plasticamente il carattere negativo del messaggio della statua che un tempo dominava la Piazza: insomma nell’ideale passaggio di testimone fra una statua e l’altra, una sorta di rappresentazione drammaticamente plastica del lutto e della tragedia che segnarono l’avvento del fascismo.

La collocazione della statua del Paladino è momentanea, quando verrà rimossa il basamento che un tempo ospitava quella del Dazzi, tornerà vuoto, e questo vuoto più di ogni altra cosa, come nelle Piazze d’Italia di De Chirico, ci narrerà quello che rappresentò la Piazza nella vita sociale degli italiani durante il fascismo: non più il luogo rinascimentale, ideale sede d’incontro della civitas, ma un luogo privo di umanità, l’inquietante assenza di umanità, e dei caratteri che dovrebbero sempre caratterizzarla: l’ospitalità, il dialogo, la solidarietà fra gli uomini.

On. Luigi Lacquaniti

La rubrica delle lettere al direttore di BsNews.it

 

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Redazione BsNews.it

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