di Sandro Belli – Uccisioni, suicidi, stragi, una ripetizione incredibile di atti che portano alla morte singoli e popoli. Non morti impreviste o occasionali, ma atti volontari e travolgenti.

Uomini che uccidono la compagna e poi si suicidano. Fanatici che si fanno esplodere tra la folla, al grido di Allah è grande, facendo pensare che Allah sia il dio della morte. Emigranti che si imbarcano su natanti che non possono che affondare, dei quali si dice che sono alla ricerca di una vita migliore, ma che qualcuno spera che non arrivino a riva. Studenti che nei Campus fanno strage di loro compagni di studio.

Ragazzi che, come il ventenne di Gussago, escono di casa col coltello in tasca o altra arma, e vanno nei vicoli, nelle piazze o nelle discoteche pronti a colpire (un’arma serve a quello !).

Poi… anche  chi uccide sa di cadere prima o poi nel triste contesto dei cercatori di morte.

Sopraffare, violentare, eliminare l’altro e poi gettarsi nel medesimo destino.

Stupisce la freddezza di molti giovani delinquenti che, a viso aperto, si gettano allo sbaraglio in azioni criminali, sapendo di essere,con tutta probabilità, identificati e condannati o eliminati per vendette di bande avverse. Morte chiama morte.

Popoli di diversa etnia più preoccupati di sterminare il nemico in guerre devastanti  che non di migliorare la propria vita ; pronti all’auto sterminio pur di eliminare l’avversario.

Passioni religiose e amori accecanti, avversità di razza o semplicemente di squadra, inimicizie di vicinato : tutto scatena una perversa volontà di annientamento.  O forse dietro tutto ciò e in tutti sta la stessa identica voglia di tragedia.

Che succede? Perché il senso della vita, la forza che spinge la natura e che muove la storia è oggi così offuscata?

Che si tratti di morte o di rinuncia alla vita, poco importa.

È un sentire innaturale, strisciante o prorompente, violento o meditato, una drammatica malattia collettiva difficile da estirpare.

Personalmente credo vi siano tre strade, nel tentativo di eliminare questo dramma.

La prima strada, quella che viene da oriente, richiede il controllo e la presa distanza dalle passioni umane. Una graduale educazione dei singoli e dei popoli alla tolleranza e alla convivenza, aiutate da una discreta dose di Buddismo.

La seconda è la via cristiana, ma, per così dire, capovolta. Ricordo le parole di un vecchissimo uomo di fede, missionario in Africa : “per fortuna  ci sono i poveri e i bisognosi, altrimenti non avrei vissuto così volentieri e mi sarei forse lasciato morire. La mia vita, infatti ha avuto senso soccorrendo gli altri. Soccorrerli era la mia medicina contro la tentazione di scomparire, era la mia egoistica, sì, egoistica,perenne, intima esigenza.” Quindi un comportamento caritatevole ( comunque in tutti i casi ottimo ) ma non per guadagnare punti di merito di fronte a Dio, ma come cura psicologica personale, come esigenza incontenibile.

La terza via, decisamente più laica passa per il recupero sociale e culturale di una generale dimensione di equilibrio e convivenza. Un gigantesco sforzo che la comunità umana, con le sue forze razionali e la sua perseverante speranza  nelle future generazioni può tentare. Saremo capaci? Sarà capace il mondo, e prima ancora la nostra gente, la nostra civiltà a far riemergere in ogniuno il senso ed il rispetto della vita?

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Redazione BsNews.it

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