(a.tortelli) In caso di vittoria i posti saranno “soltanto” sette, ma gli aspiranti con qualche chance di successo potrebbero essere più del doppio. E’ con questa premessa che il Partito democratico bresciano guarda oggi allo scenario delle prossime elezioni nazionali – fissate per il 2018, salvo ribaltoni – alla vigilia del referendum costituzionale, che in qualsiasi caso sarà uno spartiacque decisivo per il futuro della forza guidata da Matteo Renzi.

L’Italicum – nella versione attuale, che potrebbe non essere la definitiva – prevede che la Provincia di Brescia (con i suoi 1.265.000 abitanti) sia divisa in due soli collegi elettorali, rispetto ai nove del Mattarellum: uno a Nord e uno a Sud, con la città – collocata nel secondo – a fare da linea di divisione tra i due ambiti. Nel complesso i deputati eletti sui due collegi dovrebbero essere 12, di cui 7 espressione della maggioranza: con due posti riservati ai capilista e cinque che si dovranno contendere il seggio conquistando le preferenze degli elettori.

E qui scatta il primo problema. Perché, con la fame di posti sicuri che si prevede nel Pd nazionale, non è da escludere che il partito decida di paracadutare i capilista da Roma, tanto più alla luce dell’esigenza di eleggere qualche donna (solitamente penalizzate nella guerra delle preferenze) e del fatto che tra gli aspiranti bresciani non esistono figure tanto forti da poter dare per scontata l’indicazione al primo posto della lista.

Insomma: a Brescia, vincendo, i posti utili per il Pd potrebbero essere soltanto cinque. E i parlamentari uscenti sono sette, a cui se ne aggiungono altrettanti tra gli aspiranti che non stanno a Roma. Traducendo: nelle liste (che conteranno 6-7 candidati ciascuna) i nomi forti potrebbero essere molti di più dei posti utili, e non è affatto detto che questi nomi vengano scelti attraverso le primarie, dato che le elezioni con la preferenza sarebbero già una forma di consultazione della base.

Ma arriviamo ai papabili. Tra gli uscenti è facile immaginare che ci riproveranno il renziano Alfredo Bazoli e Miriam Cominelli, in quota sinistra interna (l’altro nome della corrente potrebbe essere quello del sindaco di Bovezzo Antonio Bazzani o del giovane Massimo Reboldi). In dubbio il senatore Guido Galperti: potrebbe ricandidarsi oppure – secondo qualcuno – decidere di passare il testimone al consigliere regionale Gianantonio Girelli. Oppure potrebbero rientrare entrambi nei giochi, se Girelli puntasse (in quota minoranza) al Senato delle Regioni. In corsa anche la camuna Marina Berlinghieri, in quota Franceschini. Quasi certa, tra gli uscenti, è la non ricandidatura dell’ex sindaco di Brescia Paolo Corsini (tra i più accesi sostenitori del no al referendum costituzionale voluto da Renzi). In dubbio anche la conferma del giornalista bresciano Massimo Mucchetti, nella scorsa tornata catapultato da Roma. Ma resta da capire anche quale sarà la sorte di Luigi Lacquaniti, eletto nelle file di Sel e poi passato nel Partito democratico, e dell’avvocato Gregorio Gitti, iscritto al gruppo Pd.

Anche tra gli esterni, però, sono in tanti a puntare al ruolo. A buona ragione può aspirare a un posto a Roma il presidente della Provincia Pier Luigi Mottinelli (qui un’intervista di BsNews in cui si parla anche di questa ipotesi), protagonista di un’azione amministrativa apprezzata anche nel centrodestra e camuno (la Valle esprime notoriamente preferenze in maniera molto compatta ed è quasi scontato che in questo quadro riesca a conquistare almeno un eletto). C’è poi il segretario provinciale Michele Orlando, che “studia” da parlamentare ormai da un decennio. Ma – secondo alcuni – anche il suo predecessore Pietro Bisinella aspira al Parlamento. Mentre tra i renziani della prima ora potrebbe rispuntare il nome dell’ex sindaco di Paderno Antonio Vivenzi (che però potrebbe accontentarsi della recente nomina a presidente di Lgh) o dell’ex presidente di Cogeme Gianluca Del Barba. In corsa, poi, ci sono anche figure del mondo imprenditoriale, come il presidente di Confartigianato Brescia Eugenio Massetti, le cui ambizioni punterebbero diritte verso Roma.

In questo quadro c’è chi dice che anche il sindaco di Brescia Emilio Del Bono gradirebbe tornare a Roma invece di correre nuovamente per la Loggia. Ipotesi poco probabile (e smentita dall’interessato). Così come non pare in campo il segretario cittadino Giorgio De Martin, che ha sempre rifiutato ruoli amministrativi. Ma la certezza è che tra le candidature fin qui citate manca proprio un nome forte in quota città (in particolare ai renziani che fanno riferimento a Del Bono e De Martin) e le indiscrezioni lasciano intendere che questo fronte stia sondando vie nuove.

Ma nell’elenco mancano anche nomi di sindaci importanti, come il giornalista Rai Riccardo Venchiarutti, il sindaco di Desenzano (Comune più popoloso della Leonessa) Rosa Leso, Andrea Ratti di Orzinuovi e Gabriele Zanni di Palazzolo. Soprattutto, però, mancano donne. E le quote rosa sono uno dei vincoli della legge, che introduce la doppia preferenza (purché la seconda sia di genere diverso dalla prima) allargando notevolmente la rosa dei papabili e aumentando significativamente le chance di elezione per il cosiddetto gentil sesso.

Insomma: l’unica certezza, ad oggi, è che Roma rimane tra i desideri di molti e è che tra le aspirazioni di tanti e il voto (2018, forse) ci sono di mezzo diverse incertezze: l’eventuale modifica dell’Italicum, il referendum, le sorti del governo Renzi, i regolamenti interni del partito sulla composizione delle liste e la guerra delle preferenze che potrebbe teoricamente consegnare a qualcuno l’elezione con pochissime preferenze. Troppi dubbi e troppe ambizioni per poche, solide, realtà.

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