La centrale del latte deve restare pubblica. A ribadirlo è il leader di Piattaforma civica Francesco Onofri, che – con una nota pubblicata sul sito internet del suo movimento – propone di trasformare l’azienda di via Lamarmora in una fondazione per salvaguardare la presenza del pubblico e impedire che debba essere privatizzata in virtù della riforma Madia delle società partecipate da enti pubblici.

ECCO IL TESTO INTEGRALE

Venerdì 23 settembre 2016 per quasi tutti è stato probabilmente un giorno qualunque. Per gli enti pubblici invece no. Perché in base alla riforma Madia delle società pubbliche, venerdì scorso è iniziato il conto alla rovescia, che durerà 18 mesi, entro i quali dovranno essere cedute sul mercato tutte le quote anche minoritarie di quelle società, oggi di proprietà degli enti pubblici compresi i Comuni, che non producono beni e servizi strettamente necessari per il perseguimento delle loro finalità istituzionali, e comunque che non hanno un oggetto sociale “iper-pubblico”. Sono possibili eccezioni motivate con provvedimento della presidenza del Consiglio dei ministri, ma come si sa, le eccezioni sono tali e non possiamo considerarle scontate, anche perché la norma che regola queste deroghe detta criteri di difficile interpretazione.

Se potremo farci una ragione della perdita di quote in società non strategiche per il Comune (pensiamo agli “zerovirgola” nelle autostrade), un rammarico e non di poco conto ce lo avremo invece il giorno in cui, se la legge resterà così, dovremo cedere il 51% circa di Centrale del latte, la nostra storica e prestigiosa azienda di Via Lamarmora.

Fare e vendere formaggi, yogurt e insalatine non è certo una missione pubblica e il pensiero liberale ci dice che non dovremo piangere se i nuovi proprietari saranno soggetti privati. Però ci mancheranno, eccome, quei ricchi dividendi puntualmente distribuiti e in crescita negli ultimi anni (solo nel 2015 hanno portato al Comune 1,6 milioni di euro, leggi qui), grazie ai risultati di esercizio eccellenti figli di indubbie qualità manageriali, ma anche di un orgoglio aziendale e di un attaccamento e una straordinaria fedeltà territoriale dei clienti bresciani che rischiano tuttavia di smarrirsi.

Forse però c’è una via di uscita, esposta dal nostro consigliere comunale Francesco Onofri in commissione società partecipate proprio lo scorso venerdì 23 settembre. Il nuovo Testo unico Madia (art. 24) consente infatti al socio pubblico, pur se “in casi eccezionali, qualora vi sia convenienza economica con particolare riferimento alla congruità del prezzo”, di vendere le sue partecipazioni “con negoziazione diretta con un singolo acquirente”. Quindi senza un’asta.

Certo, gli altri soci oggi hanno il diritto di prelazione, che peraltro non avrebbero – dice lo statuto – se il Comune cedesse le quote con asta pubblica. E allora, eliminando prima se necessario dallo statuto il diritto di prelazione – cosa che le regole statutarie di Centrale consentono al Comune di fare senza che gli altri soci possano impedirlo, né andarsene per quel motivo dalla società chiedendo il rimborso delle loro azioni – si potrebbe pensare a una soluzione diversa e “comunitaria”.

I portatori di interessi pubblici e privati del territorio potrebbero dar vita a una fondazione di partecipazione, con regole di governo che escludano predomini di parte o primogeniture, dotandola del denaro necessario per comprare dal Comune il redditizio pacchetto di controllo di Centrale ad un prezzo come detto necessariamente “robusto”, e che nei suoi scopi statutari mettesse i servizi alla persona, la cultura, lo sport, ecc. Cioè quello che già oggi il Comune fa per la città con i preziosi dividendi di Centrale, o anche quello che i soggetti partecipanti alla nuova fondazione vorrebbero fare o che già fanno, se ed in quanto a loro volta fondazioni o enti con finalità sociali, che così potrebbero investire parte dei loro patrimoni in maniera profittevole e funzionale ai loro scopi.

In questo modo il Comune incasserebbe una somma rilevante, Centrale del latte sarebbe privatizzata come ci chiede di fare la legge, perché la fondazione sarebbe soggetto privato, e però le finalità nell’uso dei dividendi resterebbero pubbliche nel tempo e a favore della città, potendo la futura fondazione farsi carico per statuto anche di progetti comunali studiati insieme alla Loggia.

E magari anche le quote di altre società virtuose potrebbero entrare in questo contenitore comunitario. È pura utopia? Ingenuo idealismo? O possiamo aprire un dibattito, pensarci per tempo e non lasciare che “le cose accadano”?

 

Secondo noi sarebbe anche un’occasione per risvegliare orgoglio bresciano e senso di comunità, merce preziosa in un mondo sempre più anonimo e chiuso in se stesso, e per non trovarci a piangere un’altra volta. Sul latte versato.

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Redazione BsNews.it

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