di Claudio Bragaglio – Aderendo, nel gennaio 2016, al “ Comitato del Sì al Referendum”, promosso dal PD di S.Polo, mi erano ben chiare le implicazioni. Un “Sì critico”, il mio, non per dubbi, ma per motivazioni distanti da pregiudizi. Al punto da confermare il mio Sì “nonostante” gli argomenti di alcuni suoi sostenitori. Renzi e Boschi inclusi. Penso ad alcune loro improvvide posizioni. Che – anche per “moral suasion” di Napolitano e Mattarella – hanno registrato una virata quanto mai opportuna. Con l’ammissione di errori ed un cambio di direzione, per non porre a rischio l’esito referendario, prima immaginato invece come una marcia trionfale.

Un “Sì critico”, accolto da opposte ed acide ironie. Per gli uni, un errore nella battaglia campale che traccia il solco al di qua ed al di là del renzismo. Per gli altri, il tentativo di bagnar le polveri delle cannonate contro i conservatori del No. Pazienza.

Nel merito, lo sappiamo tutti, non si tratta d’un capolavoro di costituzionalismo. Se fossimo alla prima prova, un’esemplare bocciatura ci starebbe. Ma si dà il caso che qui, oltre l’ultimo scolaro, son messi sotto torchio una scuola intera e fior di professori degli ultimi trent’anni.

Infatti la storia delle riforme è lunga e pure fallimentare. Dalla Commissione Bozzi, attraverso la De Mita-Jotti, fino alla bicamerale di D’Alema. Ma non solo. È pure storia di acrobatiche proposte. Non polemizzo col Centro Destra – cosa fin troppo facile – mi limito al Centro Sinistra che, dal 1996 ulivista in poi ha sposato le più disparate forme di governo. Oscillando con disinvoltura tra centralismo e federalismo. Tra cancellierato, premierato e semipresidenzialismo. Per non dire delle varie leggi elettorali. Con l’innesto elettorale del maggioritario sul tronco proporzionalista della Costituzione. Con i pro e i contro il Mattarellum. Portando in dote persino il “brand” originario del “Porcellum” a Calderoli, con la legge regionale delle liste bloccate della Toscana, nel 2003.

Lo stesso D’Alema, oggi incline al minimalismo riformista, s’era allora avventurato in modifiche ampie e radicali della Costituzione, facendo proprio persino il semipresidenzialismo.

La variopinta storia d’insuccessi mi fa privilegiare il quadro delle “riforme possibili”, piuttosto che l’ulteriore attesa delle “riforme migliori”. Positivo il superamento del bipolarismo paritario, ma senza indulgere nella retorica della cancellazione del Senato che bene o male rappresenta le autonomie locali. Meglio il bilanciamento costituzionale del monocameralismo. Bene la decostituzionalizzazione delle Province, ma senza cancellare un ente intermedio tra Comuni e Regioni. L’articolo 70, sull’iter legislativo, è invece ingestibile ed avrà vita breve. Non ho inoltre difficoltà a condividere alcune critiche esposte nel Documento dei Dieci, con le firme dei Senatori Paolo Corsini e Massimo Mucchetti. A coglierne anche l’utilità politica, oltre che la legittimità.

Insomma luci e ombre, ma la prevalenza delle prime sulle seconde mi ha predisposto per il Sì. Ma ciò che squilibra l’assetto istituzionale è l’Italicum, che distorce la rappresentanza politica e la natura stessa dei partiti. Questo il punto dirimente. E tale legge elettorale va modificata. La contrarietà alla Riforma nasce anche da ciò. Dal “vulnus democratico” di due terzi del Parlamento composto dai nominati d’un sistema partitico delegittimato.

Incomprensibile il traccheggiamento di Renzi. Vuoi per incertezza o per un calcolo politico. Sta di fatto che i più gli chiedono la modifica: da Napolitano, a Violante, da Franceschini ad Orfini, a Veltroni, oltre che Bersani… Ma a quel passaggio – prima o dopo la Corte, per convinzione o costrizione – son convinto si arriverà. Se, come penso, Renzi concepisce la sua politica in funzione del potere, m’attendo un soprassalto suo di lucidità e di realismo.

Il Referendum è importante. Ma per la sinistra PD non è la madre di tutte le battaglie che in questi anni non si son fatte, si son perse o sbagliate. Quando è nato il PD, portando alla dissoluzione l’autonomia della sinistra riformista. Quando nello Statuto s’è voluta la coincidenza di ruolo tra segretario del PD e capo del governo. Quando s’è sostenuto un ritorno al PD dell’origine, ritenendo che Renzi fosse un figlio illegittimo.

Ma nel porre in relazione il No al Referendum con la fine del Partito della Nazione, vanno anche spiegate molte cose. Le disinvolte divisioni della sinistra di questi anni, le autorevoli diserzioni, l’assenza di leadership e di unità. E come la sinistra riformista possa ora traguardare il PD, e se stessa, oltre il Referendum. Ed anche oltre Renzi.

Senza sciogliere questi nodi non c’è progetto d’una alternativa vera. Né prospettive per una battaglia cieca.

Senza indulgere in facili retoriche, si tratta di capire che le cose si posson mettere ancor peggio per il Paese. Con l’Europa a pezzi e guerre alle porte. L’immigrazione ingovernata. E con un populismo all’orizzonte da far rimpiangere persino Grillo. Il tema della rappresentanza democratica (legge elettorale ed “elettività” del Senato) è oggi la via praticabile per ri-legittimare anche la stessa riforma costituzionale, per ricomporre l’unitarietà del centro sinistra e del PD. Non comprendere questo significa aver smarrito il senso reale delle cose. Non aver ancora capito che l’avanguardismo renziano della prim’ora è finito. E che si tratta non più del cambiamento altrui, ma – ben più difficile – del farsi alfieri del cambiamento proprio. Se ne si è all’altezza…

Claudio Bragaglio

Direzione lombarda del PD

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Redazione BsNews.it

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