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Ex Magazzini Generali, Onofri: palazzotti semi-vuoti al posto delle Casere

Il consigliere comunale e leader di Piattaforma Civica, Francesco Onofri, dopo la maratona in Loggia dell’altra notte e dopo il suo voto contrario ha messo nero su bianco le ragioni che lo hanno spinto a bocciare il progetto sugli ex Magazzini Generali pensato dalla giunta Del Bono.

ECCO IL TESTO INTEGRALE DEL SUO INTERVENTO:

È inammissibile e umiliante, dopo mesi di inattività consiliare, arrivare alle tre del mattino, e dopo una sola commissione, a discutere una partita così importante come gli ex Magazzini Generali. Con il dubbio che gli interessi pubblici e privati di una scelta urbanistica di stretta competenza del consiglio non siano stati composti dalla Giunta nel modo più favorevole ai cittadini.

Quello che vedo con certezza è che i consiglieri di maggioranza hanno premuto il tasto SI: – a una COOP grande come tre Esselunga della Volta (14.900 mq); – a edificazioni equivalenti a 3,5 torri Tintoretto in via Dalmazia (68.000 mq) in una zona della città strapiena di case vuote; – a un’altra torre Tintoretto, per equivalente, da qualche parte in città (19.000 mq);- al detonatore che demolirà le Casere.

Facendo mie le parole di Libeskind a proposito delle potenzialità della Casere, dico anche che i consiglieri di maggioranza hanno pure schiacciato il tasto NO alla ricerca di una via diversa, di rinascimento della città e di rigenerazione urbana, tanto sbandierata nel programma Del Bono. Con l’adozione della variante di piano degli ex Magazzini Generali, votata dal Consiglio comunale alle tre del mattino del 31 gennaio, il giorno più freddo dell’anno, la traiettoria del percorso progettuale della grande area dismessa pare avere la sua destinazione finale. Ultima chiamata per il volo del recupero di un degrado pluridecennale: prezzo del biglietto la banalità urbanistica e la perdita dell’unico segno di identità del quartiere, le vecchie Casere.

Se non ci saranno improbabili ripensamenti tra adozione e approvazione, se non sarà la Soprintendenza a mettersi di traverso, è chiaro infatti quale sarà lo scambio: per recuperare una “discarica” edilizia e urbanistica, per avere marciapiedi a posto (che sono davvero la prima preoccupazione del sindaco, lo ha ridetto ieri), per avere rotonde, parcheggi qualche ciclabile, un nuovo spazio verde sistemato con un’area sportiva a cielo aperto, la città dovrà portare il peso di:- una nuova grande Coop da quasi 15.000 mq (che vuol dire un quadrato da oltre 120 metri di lato), che è il nuovo fulcro e il “senso” urbanistico ed economico di questo intervento, come sottolineato in un modo molto critico dalla commissione paesaggio del Comune; – circa 88.000 mq totali di edilizia di varie tipologie, compresi 20.000 mq di convenzionata da costruire al posto delle Casere e 19.000 mq che finiranno da qualche altra parte in città. Dopo le idee ben organizzate di Mauro Galantino e del suo progetto Norma, dopo i sogni di gloria della Provincia che voleva farci la sua sede faraonica (oggi sarebbe un mausoleo della seconda repubblica), dopo la lunga parentesi del progetto di Daniel Libeskind della sede unica del Comune, oggi ci mettiamo una pezza. Che rischia però di essere non tanto meglio del buco.

Se guardiamo vicino vediamo infatti decine di migliaia di metri cubi invenduti solo nel raggio di un chilometro: le tre torri Galeazzi, Corsica/Bosco, Via Dalmazia/ferrovia, Skyline 18 (Freccia Rossa), Viale Italia, via Lamarmora ex Berardi. Se guardiamo invece un po’ più lontano vediamo interventi di recupero anche ad opera di privati di archeologie industriali affascinanti e attrattive: Eataly a Torino, Leopolda a Firenze, gli ex zuccherifici di Livorno, per non parlare del Matadero di Madrid o della “Tate Modern” di Londra (o anche solo delle cantine Folonari accanto alla stazione). Esempi di riutilizzo e riuso intelligenti di testimonianze edilizie, senza arrendersi al “conferimento in discarica” che invece faremo noi buttando giù le Casere. È chiaro che se il nostro interlocutore privato (la NAU) è affaticato e indebitato, allora anche il Comune rinuncia a volare alto, e si accontenta di un’urbanistica stanca, fuori tempo e fuori luogo. “Ristrutturazione dei debiti”. Così si chiama la procedura a cui la NAU si è assoggettata: l’imprenditore in difficoltà definisce con i creditori uno sconto e un piano di rientro per salvare la baracca e non fallire, chiudendo in ogni caso la sua iniziativa imprenditoriale in perdita.

Anche la città partecipa però a questa ristrutturazione, e pur di recuperare l’area rinuncia a farsi costruire un’opera (la sede unica) che per quanto totalmente sbagliata valeva tre o quattro decine di milioni di euro, al netto dei costi, e che non sarà rimpiazzata da equivalenti opere pubbliche; oggi infatti incasseremo in opere di urbanizzazione solo circa sette milioni, a sostanziale parità di volumi edificatori concessi. Questa per noi, però, è anche una ristrutturazione di un pezzo di città che vuol dire che non “passiamo a perdita” e stop, perché stiamo scrivendo e ipotecando il futuro di un quartiere, importante punto di accesso alla città.

Pia.Ci non se lo augura, ma è probabile che il Comune si stia rendendo compartecipe di un nuovo degrado, con gli ennesimi palazzoni semivuoti al posto delle Casere. Tutti i piccoli proprietari della zona – non certo la più ricca della città – sapranno chi ringraziare se il valore delle loro case crollerà ulteriormente, magari con mutui ancora da pagare a prezzi del 2007 (ma il compito dell’urbanistica non dovrebbe essere quello di governare il territorio, anche per aumentarne il valore?).

Ed eccoci allora in coda per salire sull’aereo, con il nostro biglietto grigio in mano, e prima di buttare nel cestino dell’aeroporto il colorato depliant dell’altra destinazione a cui abbiamo rinunciato,leggiamo per un’ultima volta la descrizione di quella meta, con le parole di Daniel Libeskind, come trascritte nei suoi appunti da Laura Castelletti il 12 giugno 2009: “Posso dire che l’area degli ex-magazzini generali rappresenta il rinascimento della città di Brescia per gli edifici chiamati “casere”. Ho pensato di riabilitare la struttura e recuperarla facendola diventare elemento di attrazione, cercando di armonizzarla con il resto del comparto. La mia idea è quella di riconfigurare il luogo e creare nuove connessioni. Questo gioverebbe sia al vecchio che al nuovo”. Lo leggeremo emozionandoci su un manifesto all’ingresso della Coop, o ne faremo un murale il giorno dell’inaugurazione dei nuovissimi ma vecchissimi marciapiedi, l’altro tratto distintivo di questa stanca urbanistica di una leonessa ferita e in gabbia.

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Redazione BsNews.it

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