(a.marsigalia) “Le Pmi in Italia sono 4 milioni, quindi il 99% delle aziende italiane, e sviluppano un fatturato di 480 miliardi all’anno, cioè il 40% del totale italiano. Circa il 94% ha fino a 9 dipendenti, il 5% da 10 a 49 e il restante supera i 50. Questo significa che, a livello lavorativo, sviluppano l’80% dell’occupazione”. Questi sono solo alcuni dei dati che snocciola il presidente di Api Brescia Douglas Sivieri, traendoli dal rapporto Ocse presentato a Settembre. Sivieri sottolinea come le piccole medie imprese italiane siano un passo avanti anche rispetto a quelle del resto d’Europa. Una realtà quindi importante che, nonostante la crisi, sopravvive, ma non senza difficoltà. “Le Pmi lombarde sono un motore trainante e se pensiamo che anche tra le realtà eccellenti quasi un terzo ha bloccato la sua crescita, immaginiamoci come stanno affrontando la situazione quelle più piccole”.

Quali sono le problematiche di maggior rilievo?
Sembrerà un disco rotto, ma purtroppo sono sempre le stesse. E questo dovrebbe far riflettere: l’elevata pressione fiscale, il costo del lavoro, l’accesso al credito. Per questo ultimo punto ci aspettiamo un miglioramento della situazione con le nuove misure promosse dalla Bce, speriamo che le banche ritornino a dare credito alle aziende, che soffrono proprio il mancato pagamento da parte dei clienti. Le Pmi lavorano tipicamente in sub-contratto e questo significa che ricevono pagamenti a lungo termine, ben oltre quelli fissati dalle direttive europee. In pratica lavorano senza avere un ritorno economico immediato e quindi il credit crunch diventa un problema.

E la questione del Tfr da mettere in busta paga?
Sarebbe l’ennesimo colpo di grazia per togliere la poca liquidità che le piccole aziende hanno. Un onere aggiuntivo per le imprese costrette ad un immediato esborso che le priverebbe di una parte di autofinanziamento in questa situazione economica.

E sul costo del lavoro?
Qui il problema è a monte: abbiamo una formazione scolastica in Italia invidiata da tutti e non riusciamo a far fruttare i talenti che il sistema produce perché non si riesce a far incontrare scuola e impresa. Il mercato del lavoro è bloccato, le aziende si devono muovere tra norme in continuo cambiamento che non agevolano le assunzioni. E così è uno svantaggio per entrambe le parti: la disoccupazione aumenta e le imprese non possono sfruttare le capacità dei nostri giovani.

Brescia segue il trend nazionale o fa eccezione?
Brescia produce di più, è sopra la media. Ma questo è proprio della mentalità di questa città. In generale, purtroppo, segue il trend negativo nazionale anche se la sensibilità da parte dei gruppi territoriali è sicuramente maggiore. In ogni caso ci aspettiamo un segnale forte dal mondo bancario bresciano.

L’export sembra la vera via d’uscita per re-iniziare a crescere, ma molte aziende restano ancorate al mercato interno o al massimo a quello Europeo. La ragione?
Le Pmi per anni hanno guardato solo nel proprio giardino. E’ necessario invece creare cluster e filiere comuni e i segnali, in questa direzione, sono positivi. Ora che le aziende sono in mano alla cosiddetta terza generazione, che non vede più il concorrente come un nemico, ma un possibile partner, le cose stanno cambiando. Se ci si affaccia su un nuovo mercato in dieci la forza sarà maggiore ed è per questo che l’aggregazione e il concetto di rete funziona. E qui in Lombardia sta già dando i suoi frutti. Noi come Api mettiamo in campo varie risorse a favore dell’internazionalizzazione, perché tutti possono esportare. E anzi, il Made in Italy è tornato ad essere un must?

In che senso, si vende di più?
No, ma si vende meglio. Si stanno ripristinando i margini di vendita, perché i mercati sono disposti a pagare di più perché la qualità dei prodotti italiani è riconosciuta in tutto il mondo. Abbassare i prezzi e rincorrere un mercato di basso profilo non è adatto alla produzione italiana. Noi dobbiamo perseguire in qualità.

 

RAPPORTO OCSE 2014 su PMI
Le Pmi rappresentano il 99,9% del totale delle imprese, l’80% dell’occupazione e il 67% del valore aggiunto, tra i valori più alti nell’area Ocse. È quanto emerge dallo studio Ocse su Pmi e imprenditorialità in Italia. L’Italia, sottolinea il rapporto, è un’economia a vocazione imprenditoriale e quasi metà della popolazione preferirebbe essere proprietario d’impresa piuttosto che lavoratore dipendente, quasi un quarto della forza lavoro è in proprio, e le piccole imprese tendono a essere di giovane età.

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Redazione BsNews.it

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