di Andrea Tortelli – Nella squadra ci sono Fabio Barca, Sandro Belli, Elisabetta Donati, Antonio Massoletti e Nicla Picchi. Ma il capitano è lui. Aldo Rebecchi, infatti, è il responsabile dello staff del sindaco, oppure – con voce sciolta – il più “saggio” dei “saggi” scelti dal sindaco di Brescia per supportarlo nell’attività amministrativa. Dopo aver fatto da padrino alla vittoria elettorale di Emilio Del Bono, Rebecchi ha deciso di ritagliarsi un ruolo pubblico nuovo. Non più nel sindacato (è stato segretario della Cgil), né in Parlamento o in Broletto (di cui è stato anche vicepresidente in quota Ds). Ma – mettendo a frutto le esperienze fatte negli anni – come collegamento operativo tra la Loggia e le forze vive della città.

Come ci si sente a fare il saggio?

La definizione è simpatica, ma rischia di sembrare un po’ pretenziosa. Siamo solo persone a cui il sindaco ha chiesto un supporto su determinate tematiche. Certo le modalità di lavoro vanno un po’ messe a punto. Ma tra di noi ci sono personalità di indubbio valore, e altri hanno già manifestato la disponibilità a darci una mano in questo compito.

Qual è il vostro mandato principale?

Oggi, in particolare, dedichiamo il nostro tempo ad affrontare questioni economico-produttive e a concorrere a tracciare il futuro delle società partecipate dalla Loggia. Ci stiamo occupando poi anche della valorizzazione di alcuni beni culturali e commerciali e del progetto di un’iniziativa di coworking che possa dare risposte concrete al problema dell’occupazione giovanile. Il tutto, ovviamente, avendo ben chiaro che il nostro è un ruolo di supporto e l’azione amministrativa rimane in capo alla giunta.

Lei è stato il primo sponsor politico di Del Bono. E avrebbe potuto tranquillamente aspirare a un ruolo di spicco in giunta o in una grande partecipata. Invece ha fatto un’altra scelta…

Ho scelto di non ricandidarmi in Loggia per favorire il rinnovamento generazionale. Come me l’hanno fatto altri, e credo che abbiamo fatto bene. Penso in particolare a Luigi Gaffurini, Carla Bisleri e Claudio Bragaglio, le cui riconosciute professionalità non vanno comunque disperse, insieme a quelle di persone come Claudio Buizza, Luciano Lussignoli, Fausto Baresi, Bruno Bedussi e altri. Ma oggi credo sia importante anche dare spazio alla crescita di una nuova classe dirigente – come per altro si sta cercando di fare -. Ho scelto quindi di mettere a frutto il quadro di relazioni maturato nel tempo e di dare così il mio contributo alla città. L’incarico che ho mantenuto fino al termine del mandato è quello al Banco Nazionale di Prova – eletto dai produttori del settore fin dal 1998 – e della Fondazione Luigi Micheletti, di cui sono presidente.

Un inciso sul Banco Nazionale di Prova. Ultimamente Roma è tornata all’attacco per scippare a Brescia il “giocattolo”…

Il Banco – il maggiore al mondo per numero di armi testate – è una ricchezza del nostro territorio: per questo deve restare al territorio. Negli ultimi 15 anni non ha avuto un centesimo di finanziamento pubblico, ha diminuito le tariffe in termini reali del 20% e in cassa dispone di un discreto tesoretto. Inoltre diamo lavoro a 80 persone a tempo indeterminato e a una ventina di stagionali. Già nel 2010 centrosinistra e centrodestra avevano scongiurato il tentativo di ministerializzare il Banco, che fa capo per metà a diversi dicasteri e per l’altra parte alle aziende bresciane. Ora ci stanno riprovando e non so come si concluderà la vicenda. Di certo oggi sono sfinito da questa storia assurda e non so francamente per quanto potrò ancora combattere questa battaglia.

Torniamo a lei. Il suo ruolo di cinghia con il mondo sociale ed economico è noto. Qualcuno sostiene che lei, dopo il sindaco, sia oggi la figura più influente dal punto di vista amministrativo in città. E’ così?

Questa è una leggenda metropolitana, non è infatti così. Le decisioni sono tutte in capo al sindaco, al vicesindaco e agli assessori. Io e i miei collaboratori ci limitiamo a trasmettere istanze e proposte che raccogliamo sul territorio, formulare suggerimenti in virtù dei rapporti che ho maturato nelle mie relazioni politiche, sindacali e personali. Un supporto di cui Emilio ha intelligentemente scelto di avvalersi e una collaborazione nei confronti degli assessori.

Oggi una delle questioni principali per Brescia è quella di A2A. Lei ha già avuto modo di dire che non è candidato a un ruolo nella gestione della società. Ma che futuro immagina per la ex municipalizzata di via Lamarmora?

Confermo la mia incandidabilità. Quanto al futuro della società, rimango ancorato alla mozione approvata all’unanimità durante l’amministrazione Paroli, di cui sono stato proponente. Sono soddisfatto che Del Bono si sia mosso entro quel perimetro, ponendo fine al farraginoso sistema duale per un più efficiente, ed economico, consiglio di amministrazione tradizionale. Ora, però, la partita si gioca su altri piani. Innanzitutto bisogna indicare l’amministratore delegato, che deve essere una figura condivisa da Brescia e Milano in modo da garantire continuità e una sempre più efficiente gestione unitaria dell’azienda. In secondo luogo va individuato un consiglio di amministrazione di grande qualità e in cui trovi posto anche chi rappresenta un pezzo importante di città (a Brescia, opposizione compresa, spettano quattro posti). Infine c’è la questione di A2A Ambiente… 

Su quest’ultimo passaggio la Loggia ripone speranze importanti…

L’obiettivo è dar vita a una società che abbia autonomia reale nei confronti della holding anche su acquisti, appalti, personale e fornitori, che sia collocata saldamente a Brescia e che non sia una scatola vuota. Una partita, possibile, strettamente collegata alla governance della holding.

Anche Omb potrebbe rientrare in questa partita?

Omb è sul mercato. Si è conclusa la fase dell’offerta pubblica e i responsabili stanno vagliando le proposte arrivate. Ma continuo a pensare che Omb non possa prescindere dal conquistare un rapporto con la grande società che si occupa di ambiente a Brescia.

Un’altra sfida che le sta molto a cuore è quella del Musil, a rischio tra mancati fondi della Regione e una trattativa non scontata con i privati. Ne verremo a capo?

Questo sarà l’anno decisivo per una vicenda che non può concludersi per sfinimento o per abbandono. Da parte del compartista privato c’è disponibilità ad arrivare a un accordo e la Regione ha promesso che i fondi verranno ripristinati con l’assestamento del bilancio 2014. Allo stesso modo Provincia e Università hanno confermato il loro impegno. E la questione della gestione è risolta con il contributo di A2A, che porterebbe lì i suoi laboratori. Il Musil nascerà se la Regione confermerà i finanziamenti. E se i soldi non saranno quelli inizialmente previsti l’unica soluzione sarà quella di ridurre la dimensione del museo. Nella convinzione che si tratta comunque di un progetto essenziale per valorizzare un’area degradata che, senza l’intervento del pubblico, rischierebbe di rimanere tale per decine di anni. 

Quello di Del Bono, di certo, non è un compito facile. Che consiglio darebbe al sindaco?

Emilio sta lavorando bene e tanto. Forse dovrebbe attenuare un po’ i ritmi del suo impegno quotidiano, che a lungo andare rischia di logorarlo anche fisicamente. Gli consiglio di mantenere, e di migliorare sempre, l’atteggiamento di grande ascolto delle diverse voci della città, così come sta facendo oggi. Intanto, perché è giusto e poi perché aiuta a evitare errori.

 

 

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Redazione BsNews.it

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