E se la Tintoretto sostituisse Canton Mombello? Un progetto dice che si può fare
(di Alessia Marsigalia) Ai piani alti parlano di indulto e amnistia, che sembrano essere le soluzioni più immediate per risolvere l’emergenza carcere. Mentre il dibattito si infervora a livello nazionale, anche Brescia tende l’orecchio, visto che, nella nostra città, ospitiamo uno dei carceri peggiori della penisola per sovraffollamento e degrado dell’immobile. Canton Mombello, quel casermone nel cuore della città che qualcuno vorrebbe salvare con opere di riqualificazione, mentre altri abbattere, è una questione spinosa. Una terza via però ci sarebbe ed è stata partorita dalla mente di tre architetti. Un’idea all’apparenza provocatoria, ma che, in realtà, poggia su solide basi e analisi accurate. L’idea di Gabriele Falconi, Francesca Santaniello e Celestina Savoldi, presentata al concorso di idee promosso recentemente dall’Ordine degli Ingegneri di Brescia, tira in ballo anche un altro edificio "problematico" di Brescia, la Torre Tintoretto: in pratica il progetto è quello di trasferire nella torre di San Polo di proprietà dell’Aler i detenuti del carcere di Canton Mombello. Il progetto "BirdCage" punta così a risolvere due "problemi" in uno e non c’è utopia alla base, ma considerazioni di natura immobiliare ed economica. Da un lato evitare la costruzione di una nuova struttura nell’area del carcere di Verziano, dall’altra un uso della Torre che permettesse una riqualificazione anche all’intero quartiere di San Polo, considerando il degrado nel quale è versato per anni.
Iniziamo dalle basi: come vi è venuta l’idea?
Gabriele: "Il progetto nasce all’interno di un concorso di idee indetto dall’Ordine degli Ingegneri di Brescia. Proprio in quanto “concorso di idee” la nostra proposta si caratterizza per una visione ideale forte, ovvero: di cosa hanno bisogno le nostre città, che problemi interessano Brescia? Ci siamo detti che sarebbe stata colpevole miopia rivedere nella torre funzioni non andate per il verso giusto o rispolverare un modello di quartiere che è fallito. Quindi, nascosta nella nostra provocazione, che comunque si poggia su una serie di considerazioni analitiche, c’è il tentativo di mettere in crisi il miope amministratore, di scuoterlo, di insinuargli il dubbio. Innegabile poi una componente anticonformista, visionaria, ma efficace e preparata".
Francesca: "Ci siamo anche chiesti quale funzione avrebbe potuto reggere da un punto di vista economico in questo momento di crisi, in una periferia urbana come San Polo. Abbiamo scartato la residenza, perché l’invenduto è ormai arrivato a quote insostenibili; non il terziario, perché non avrebbe retto la concorrenza con zone più appetibili della città; non i servizi, perché gli enti locali non sono in grado, da soli, di sostenere ingenti spese di ristrutturazione. Proprio in quei giorni la Corte Costituzionale ha fatto emergere con forza il problema del sovraffollamento delle carceri: sapendo che anche Brescia si trovava ad affrontalo, abbiamo pensato di trasformare la Torre in un nuovo carcere di eccellenza. Nel progetto, infatti, i detenuti offrono agli abitanti servizi che oggi non esistono, a costi contenuti: ad esempio riparazioni (dalle scarpe ai computer) e beni alimentari (produzione, distribuzione e consumo)… Nessun imprenditore (neanche non profit) sarebbe in grado di sostenere le spese per insediarsi nella piastra sotto la torre: il carcere quindi diventa la condizione di fattibilità per realizzare servizi al quartiere".
Avete fatto anche un’analisi di quanto costerebbe questo intervento?
Celestina: "Abbiamo fatto un’analisi dei costi benefici sullo stato di fatto della torre Tintoretto, del carcere di Verziano e di Canton Mombello. Poi anche sulla realizzazione e gestione del progetto nei primi vent’anni di esercizio. Alienando Canton Mombello – che non è tutelato dai beni architettonici e che quindi si può demolire – e destinandolo a residenziale si rientra di buona parte del costo per rilevare la Tintoretto da Aler. Quindi, per ristrutturare la torre, ci sarebbero in parte i ricavi dalla vendita dell’area di Canton Mombello, ma anche i soldi che servirebbero per fare il nuovo carcere a Verziano. Infine, per finanziare i servizi e la loro gestione abbiamo pensato ad un mix tra pubblico e privato".
Avete in mente chi e quanti dovrebbero essere i soggetti finanziatori e quelli da coinvolgere nella gestione?
Celestina: "Sono molti i soggetti coinvolti a cui abbiamo pensato. Una fusione e coordinazione tra pubblico e privato. Il comune come soggetto gestore e di coordinamento, ma anche il Ministero di Grazia e Giustizia, l’Aler, soggetti privati interessati all’investimento, enti e associazioni".
Francesca: "In realtà il finanziatore non è necessario: ai fondi già stanziati dal Ministero della Giustizia per l’adeguamento alle normative europee si aggiungono i proventi della vendita all’operatore privato dell’attuale carcere di Mombello.Con questa cifra ci sembra, ad una primissima analisi, che il ricavato consenta di acquisire il bene ed intervenire nella sua riqualificazione. Il vero problema non è tanto la sostenibilità ipotetica delle operazioni, quanto la gestione del processo che tiene insieme una serie di soggetti molto diversi tra loro e con interessi disparati. Indipendentemente dal fatto che si tratti di un carcere, di residenza o di altre funzioni, per la riqualificazione della torre Tintoretto la città di Brescia affronterà un processo estremamente complesso, che necessita necessariamente di una regia, in grado di “tenerlo in tensione”. Spesso si guarda solo alla componente immobiliare dei progetti, la dimensione dell’“hardware”. La gestione è fondamentale, e il caso “estremo” del carcere ci sembrava esprimesse questa urgenza in modo molto evidente: se insieme all’edificio non si immagina un modello nuovo di reinserimento sociale per i detenuti e allo stesso tempo un nuovo polo di servizi per il quartiere, il progetto perde il suo senso. Per realizzare il progetto che abbiamo proposto bisognerebbe quindi impostare anche un piano di gestione di questi nuovi servizi, con altri soggetti, attenti alle questioni sociali (ma anche con una buona spinta imprenditoriale). Si tratta di una componente “software” senza la quale la città non funziona".
La Tintoretto, come Canton Mombello, è inserita in un contesto cittadino. Molti lamentano questo aspetto sostenendo che le strutture carcerarie dovrebbero essere "fuori dalla vista" e in luoghi isolati.
Gabriele: "Bisogna ribaltare la prospettiva: un quartiere che già è periferico e con pochi servizi, non può sostenere una operazione di housing sociale, perchè la ingloberebbe nel generale degrado. Una funzione “forte” di assoluta necessità, sicura, innovativa per tipologia e tecnologia, potrebbe invertire la parabola di declino del quartiere, una puntura rigenerante e non ammorbante. Il carcerato è meno pericoloso di molte altre persone che vivono liberamente nei nostri quartieri, imbruttiti dall’incuria e dall’assenza di politiche sociali adeguate. La situazione deve cambiare, il carcere deve essere integrato e diventare “utile” alla città".
Francesca: "Esatto, basta pensare che già oggi una quota importante della produzione di pelletteria "made in Italy" è realizzata in carcere: i detenuti sono “forza lavoro a buon mercato”, ma è difficile saperlo perché il consumatore potrebbe “impressionarsi”. Con il progetto abbiamo voluto “esibire” il ruolo del detenuto come parte integrante del ciclo produttivo, predisponendo una relazione forte tra il carcere e il quartiere: ad attrarre i consumatori ci penserebbe la mancanza di altri servizi nel quartiere e i costi convenienti. Ci sembrava un modello non lontano da esperienze innovative come il Carcere di Bollate, con il suo splendido vivaio, e il Carcere Minorile Beccaria con il suo teatro, da poco inaugurato. Abbiamo “portato all’estremo” questi esempi ed è nato il progetto, che comprende anche soluzioni innovative che escono dal clichet della cella e parlano di abitare in comunità e in autonomia, prima di tornare in libertà. È evidente che il progetto solleva immediatamente obiezioni sullo stigma del quartiere: ma questa opzione ha senso solo se il carcere smette di essere l’ultima “istituzione totale” tabù e diventa una parte vitale e reattiva della città: da “consumatore” di spesa pubblica il carcere diventa “produttore” di valore territoriale".
Oltre all’emergenza carceri, c’è anche la questione "riqualificare invece di costruire ex novo": la vostra idea va anche in questo senso?
Gabriele: "Assolutamente in linea, ma il motto “costruire senza cementificare un metro quadro in più” non dovrebbe essere obiettivo di una amministrazione civile (se non illuminata); deve essere invece la base di qualsiasi piano di governo del territorio in Italia, integrato con piani di demolizione particolari e non di comparti interi, come nel caso del comparto Milano a Brescia. Il tema sarà centrale per il futuro dell’architettura e dell’urbanistica italiana".
Francesca: "Il dibattito attorno al riuso negli ultimi cinque anni si è estremamente animato: significa che a riconoscere questa necessità sono in molti. Oggi riutilizzare gli edifici dismessi è diventata una questione culturale, un’urgenza, come quella del rispetto dell’ambiente in cui viviamo, che ha radicalmente modificato i nostri comportamenti quotidiani. Ripensare questi edifici, immersi nel tessuto urbano, significa (a differenza della nuova costruzione, che avviene tendenzialmente in aree marginali della città) progettare relazioni forti con il contesto. Si tratta di una sfida che dal punto di vista della costruzione del progetto, richiede competenze integrate".
Oggi si parla di indulto e amnistia. Personalmente cosa ne pensate?
Francesca: "Chi entra nel sistema carcerario, nella maggior parte dei casi lo fa dai "margini" della società. Da un sistema, quello dei reati minori, che ha le sue regole, la persona entra in un altro, in cui le regole sono simili (nella migliore delle ipotesi) o ancora più "ai margini" (nella peggiore). Le condizioni durissime che vivono i detenuti nelle nostre carceri aiutano a trasformare un’opportunità di reinserimento sociale in una cronicizzazione della propria condizione di “esclusi”. La quota di “ricadute” dopo il carcere lo testimoniano, chi ha fatto un percorso di detenzione tende a tornare nel circuito che lo ha condotto a quel punto: solo un nuovo modello di carcere potrebbe produrre effetti positivi sulla persona. Non si tratta quindi di parlare di quello che fa notizia, ossia "liberare i delinquenti", ma di modificare alla radice il modo di concepire la concezione di "punizione" e trasformarla veramente in un’opportunità, per la persona, di cambiare il proprio sistema di regole".
Gabriele: "L’argomento è delicato: non è questo il piano del dibattito, peraltro già attuato in passato, senza essere risolutivo. Ciò che è da riformare è l’intero sistema penitenziario in Italia, puntando davvero sul recupero sociale del detenuto, anche e soprattutto in strutture adeguate. Ed integrate".