Un tema che non accenna a placarsi quello del Bigio e del suo possibile ritorno in Piazza Vittoria. Sul tema Interviene il consigliere comunale del pd Giuseppe Ungari. "È anzitutto bene ricordare che la scultura, di cui pare nessuno senza la mancanza e che solo qualche nostalgico del regime è invece felice di rivedere presto in piazza della Vittoria, venne battezzata da Mussolini stesso “L’era fascista”: titolo inequivocabile che porta con sé un elemento di cupezza che si imporrà come una punizione aggiuntiva a questa già infelice piazza.

 

Il riposizionamento dell’Era fascista è un atto offensivo, prepotente e grave in quanto è inaccettabile che la memoria collettiva di molti venga ferita. Così come pericolosi revisionismi oltraggiano la memoria della Shoah, il ripristino dei simboli fascisti non giova certo oggi alla comprensione tra le parti. Il colosso fu eretto nel periodo in cui chi dissentiva era in mille modi “umiliato ed offeso” ma fu proprio quello il tempo di una resistenza morale silenziosa, tenace ed operosa che anche a Brescia portò alla Resistenza e ad un radicato sentimento antifascista. Tra i protagonisti di quel 1932 ci fu indubbiamente il Vescovo della città, mons. Giacinto Gaggia, che esortava sacerdoti e fedeli bresciani a boicottare, come diremmo oggi, la piazza. Coerente con altri atteggiamenti già assunti, quali il mancato conferimento di assistenti spirituali alle formazioni dei Balilla o il divieto di ingresso nelle Chiese dei gagliardetti fascisti, era chiaro a tutti che il monito di evitare la piazza e la statua, quasi ironicamente dettato da ragioni di pudore, rappresentava in realtà l’invito esplicito ad evitare familiarità con il fascismo, i suoi propugnatori, le sue iniziative e manifestazioni. «Raccomando, con tutta la forza dell’animo mio gravemente addolorato, ai miei buoni Parroci e Sacerdoti, che non si facciano vedere a gironzolare curiosi per la cosiddetta Piazza della Vittoria. […] Prego poi i Reverendi Parroci e Sacerdoti di persuadere i genitori a non condurre i loro figli e le loro figlie dove la loro innocenza e pudicizia possono avere nocumento».(Giacinto Gaggia, in Bollettino della Diocesi, 1932). Oggi come allora, ovviamente, la preoccupazione non è l’esposizione al pubblico di due marmoree chiappe quanto l’esibizione di un simbolo, l’ostentazione di un riferimento e di un ricordo estranei alla città e alla sua sensibilità. Dal dopoguerra la città ha in più occasioni attestato la sua matrice profondamente antifascista, anche semplicemente in atti amministrativi di intitolazioni e nella toponomastica: la scuola Rosa Maltoni (mamma del Duce) che divenne Manzoni o, con la Giunta Trebeschi, la via 11 febbraio – data di sottoscrizione tra il cardinal Gasparri e il Duce dei Patti Lateranensi – che divenne via card. Bevilacqua, con il chiaro esplicito messaggio di apprezzamento all’insegnamento del parroco cardinale che denunciò il fascismo non solo quale dittatura civile ma definendolo “una forza anticristiana”. L’attuale Amministrazione, invece, lascia giacere dal 2011 la richiesta dell’Università Cattolica di intitolare uno spazio pubblico al prof. Dario Morelli, docente dell’Arici, partigiano delle Fiamme Verdi e Presidente dell’Istituto storico della resistenza bresciana. Trova però più di quattrocentomila euro per rimettere sulle gambe malferme il brutto ricordo di un’epoca di cui Brescia certo non sente nostalgia!"

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Redazione BsNews.it

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