Si è aperto intorno alle 17.20, nella sala Loggetta di piazza Loggia 5, il convegno intitolato “Il disagio del diritto”, promosso da Fondazione Etica e Città & Dintorni. Tra i relatori il presidente della Fondazione Gregorio Gitti, Aurelio Gentili, Barbara Randazzo (La laicità dello Stato alla prova della “società plurale”), Fabio Basile (Le culture e il diritto penale) e Daniele Maffeis (Le qualità personali e il diritto civile). Mentre le considerazioni conclusive sono state affidate al costituzionalista Valerio Onida. A moderare il dibattito è stato il direttore del dorso bresciano del Corriere della sera Massimo Tedeschi.

DI SEGUITO LA SINTESI (IN TEMPO REALE) DEGLI INTERVENTI

VALERIO ONIDA (19.31)

“Se lo Stato fosse l’espressione del gruppo di maggioranza il disagio del diritto diventerebbe enorme. In realtà lo Stato nasce come espressione di una comunità e delle diverse “tribù”: il diritto statale nasce come unitario per definizione. Finché abbiamo avuto Stati nazionali non si sono posti problemi. Ma oggi la convivenza tra diverse culture si intreccia ovunque. Il problema è trovare l’equilibrio. Se ci sono diversità il diritto può riconoscerle o disconoscerle. Come dosare uguaglianza e riconoscimento delle differenze? Come si può convivere tra diversi non separandosi in ghetti ma rispettando tutti i requisiti per garantire la convivenza comune o il ‘minimo etico comune’? Il diritto penale è il diritto fondamentale dell’eguaglianza: tutela dei beni che se non protetti in modo eguale offendono le basi della società. Il diritto civile è invece il diritto della libertà, ma anche qui ci possono essere situazioni che richiedono protezione uguale. Il diritto pubblico cerca di tenere insieme le differenze e la salvaguardia di ciò che non può non essere comune. Quando è ragionevole riconoscere le differenze e quando non lo è? Da qui nasce anche il rapporto tra legge e giudice: nella nostra tradizione la prima realizza l’uguaglianza, mentre il giudice fa aderire la legge alla singolarità del caso. Non è il legislatore che realizza tutti gli equilibri possibili. E comunque i diritti universali sono fondamentali per natura. Ciò che è comune va garantito in termini di uguaglianza, gli spazi in cui la differenza non produce lesioni vanno tutelati. Ma si può porre un problema di equilibrio”.

DANIELE MAFFEIS (18.50)

“Ieri ho letto sul Corriere on line una notizia il cui titolo era: “Condannato a 14 anni per aver ucciso un marocchino’. Quindi è una notizia che la vittima sia un marocchino? Sarebbe altrettanto normale leggere un titolo che dica: ‘Condannato a 14 anni per aver ucciso una fanciulla carina’? Di certo il tema che affrontiamo è molto attuale. Dunque come si comporta il diritto civile di fronte alla società multietnica? La ‘legittima’, ad esempio, è una misura neutra che nella società multietnica vive in maniera diversa: senza la legittima, infatti, quante volte potrebbe capitare che i patrimoni personali finiscano nelle mani delle badanti? Ma il diritto civile, e io non sono d’accordo, potrebbe anche essere anche interventista. Come? Stabilendo che sia lecito discriminare nell’accesso di beni o servizi offerti al pubblico. Oggi questo è vietato. Chi lo prevede? La normativa comunitaria, che prevale sul diritto interno (e viene recepita in maniera diversa nei diversi Paesi: in Italia viene quasi fotocopiata, in Germania in alcuni casi se ne discute molto). Chi si rivolge al pubblico dunque non può discriminare. Per quanto riguarda il caso del bonus bebè, ad esempio, la deliberazione del Comune è esattamente la norma al contrario. Ma ci sono anche federazioni sportive che richiedono il requisito della cittadinanza italiana per iscriversi. Gli esempi, che riguardano soprattutto il pubblico, sono comunque molto numerosi. Il divieto di discriminazione è comunque assistito da rimedi seri. Il risarcimento del danno non patrimoniale fa discutere, come l’inibitoria del comportamento discriminatorio. Importantissima è la regola per cui se c’è un’offerta al pubblico discriminatoria la sanzione è che questa rimane ma la clausola discriminatoria decade, come avvenuto a Brescia sul bonus bebè”. 

FABIO BASILE (18.23)

“Parlerò di multiculturalismo alla bresciana, cioè quello derivante dall’immigrazione. Per sviluppare le interazioni fra diritto penale e culture è necessaria una premessa. L’Italia si sta trasformando in società multiculturale per effetto dell’immigrazione, e ovviamente quando i rumeni o i marocchini arrivano qui si portano dietro un bagaglio culturale. Ma cosa intendiamo per cultura? Modi di vivere e di pensare radicati all’interno di un gruppo sociale, comprese tradizioni e credenze. Anche il diritto penale è un ‘prodotto tipico locale’: aborto, prostituzione, consumo stupefacenti e molti altri sono fatti la cui disciplina penale cambia significativamente da Stato a Stato. Insomma, parafrasando un adagio popolare potremmo dire: paese che vai, reato che trovi. Il diritto penale non è culturalmente neutro, ma impregnato nella cultura del popolo. Fatte queste premesse: cosa succede quando uno Stato, il cui codice penale è impregnato della cultura locale, si trasforma per effetto dell’immigrazione? Succede il disagio del diritto. La dottrina penalistica per descrivere queste situazioni usa l’etichetta di reato culturalmente motivato: l’immigrato, davanti al giudice, invoca vere o presunte motivazioni attinte dalla sua cultura d’origine. Talvolta parliamo di questioni bagatellari, come il fatto che gli indiani di religione Sikh portino il coltellino implichi o meno il reato di porto abusivo d’armi. Altre volte di questioni più serie, come le mutilazioni genitali femminili. Sta di fatto che i reati culturalmente motivati mettono il diritto in disagio. Come deve reagire il diritto? Fino a oggi la Cassazione, con un atteggiamento che potremmo definire di multiculturalismo moderato, ha respinto quelle motivazioni quando in contrasto con le nostre norme cardine. Tuttavia il fattore culturale potrebbe valere ai fini della quantificazione della pena. E’ giusto? Non si evoca il rischio di una discriminazione al contrario? A mio avviso un circoscritto riconoscimento benevole del fattore cultura, in presenza di alcuni fattori, può risultare equo e doveroso”. 

BARBARA RANDAZZO (17.55) 

“Il tema dell’incontro evoca quello della eclissi o della fine del diritto. Il pluralismo mette in crisi il diritto come generale ed astratto e mette alla prova il rapporto tra libertà ed eguaglianza. Se da un lato cresce l’aspirazione di libertà della maggioranza, dall’altro aumentano le aspettative della minoranza. L’eguaglianza sul piano giuridico si traduce in una sorta di principio di benevolenza nei confronti di soggetti deboli. Oggi i giuristi sono chiamati a rifondare il diritto, resta da capire su quali basi. L’obiettivo è ambizioso, ma il punto di partenza del percorso per trovare la soluzione muove dalla distinzione tra diritto legale e diritto giurisprudenziale. Sul piano dell’applicazione della legge, il ruolo del giudice è cambiato molto nel tempo anche in ragione delle cessioni di sovranità fatte all’unione europea, per le quali si può spingere fino a disapplicare la legge. Molto spesso il legislatore non è in grado di affrontare le sfide del multiculturalismo e quindi decide di lasciarle ai giudici: siamo di fronte a una supplenza del diritto giurisprudenziale rispetto a quello legale. Un esempio in tema di laicità: sul crocifisso nelle aule scolastiche non c’è una legge che regola la questione, in parlamento non se ne parla e si finisce alla Corte europea dei diritti dell’uomo. O ancora: la questione del matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il legislatore, nonostante il monito della Corte che lo invita a dare tutela a situazioni di differenza, fa orecchie da mercante”.

MASSIMO TEDESCHI (17.49)

“Capisco il perché interessa questo incontro: perché il diritto parla della vita che viviamo, e la filosofia del diritto ci introduce le categorie attraverso cui orientarci nel mondo. Vorrei offrire alla platea e ai relatori alcuni dati che rendono specifica la realtà bresciana sul tema socialmente più sensibile: gli immigrati. La nostra Provincia è in testa alle classifiche italiane per presenza e concentrazione di immigrati (14 per cento, ma al Carmine sono il 43 per cento), la metà dei bambini nati in città ha almeno un genitore straniero, secondo una previsione Istat tra 20 anni un bresciano su quattro sarà di origine straniera, le prime cinque nazionalità costituiscono circa il 50 per cento degli immigrati, circa il 70 per cento dei detenuti di Canton Mombello non sono italiani. Inoltre a Brescia sono accaduti due casi simbolo: quello di Hina, emblema dei delitti culturalmente motivati, e il bonus bebé riconosciuto solo ai figli di italiani”.    

AURELIO GENTILI (17.28)

“La parola chiave è multiculturalismo. Per sintesi possiamo individuare due fenomenologie di multiculturalismo: un pluralismo sociale comunitario e un pluralismo sociale individuale. Ci riferiamo soprattutto al primo quando parliamo di stranieri, mentre il secondo riguarda categorie legate – ad esempio – all’orientamento sessuale. La nostra società è strutturata per accettare questi gruppi comunitari? No, perché questi si contrappongono come una minoranza alla ‘maggioranza’, il cui identikit è generalmente: uomo, bianco, eterosessuale, cristiano e normalmente animato da principi di tipo liberale. Il pluralismo giuridico è quello in cui queste minoranze chiedono riconoscimento dei propri diritti. Lo Stato si pone in maniera neutrale. Ma sollevo un dubbio, solo un dubbio, sul fatto che lo sia davvero e non sia invece il gruppo della maggioranza. Che cosa porta ad esempio ad identificare il matrimonio con la cultura monogamica sessuale? La cultura, solo quella”.  

GREGORIO GITTI (17.20)

“Nonostante il titolo provocatorio che abbiamo dato all’iniziativa, il disagio non è del diritto. Né tanto dell’interprete. Semmai il disagio è quello di una parte della società che fatica ad affrontare nuove situazioni. Il diritto ha in sé i princìpi che consentono un confronto scevro da preconcetti. Mi piace dirlo nella città resa famosa, in modo ridicolo, dalla vicenda del bonus bebé e dalla scelta poco lungimirante e poco accorta sul versante giuridico della Loggia”.

L’ARTICOLO CHE ANNUNCIAVA L’INIZIATIVA 

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Redazione BsNews.it

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