Ambiente o investimenti tecnologici? A Brescia si discute del dilemma di Ilva e dellacciaio italiano
L’Italia senza altiforni? – Investire nell’ambiente o nella tecnologia per diventare più competitivi nei prodotti? Questo è il dilemma a cui dovrà far fronte l’ILVA nei prossimi anni, e più in generale, il comparto siderurgico italiano. È emerso durante la tavola rotonda della 26° edizione dello Steel Market Outlook – L’Italia senza altiforni?, periodico appuntamento organizzato da Siderweb sul mercato dell’acciaio. Oggi tutti e tre gli altiforni italiani, Taranto, Piombino e Trieste, stanno affrontando gravi problematiche ambientali e di sostenibilità economica. Quali sono le prospettive per il prossimo futuro? «Sono necessari forti investimenti negli altiforni – ha spiegato Gianfranco Tosini, responsabile dell’ufficio studi di Siderweb -. Il Gruppo Lucchini, che sta affrontando una grave crisi finanziaria, avrà più difficoltà ad affrontare i forti investimenti necessari a rendere competitivo l’altoforno di Piombino, stimabili in circa 1 miliardo di euro. Le banche saranno disposte a sostenere questo sforzo?». Per ciò che concerne Taranto, invece, «dal 1995 ad oggi la gestione industriale Riva ha prodotto un utile di 2,1 miliardi di euro, e ci sono stati investimenti per circa 6 miliardi di euro. Nell’ultimo triennio, però, la gestione è in perdita per circa 1 miliardo, a causa del cambiamento del mercato. Stimo che nei prossimi 5 anni per l’Ilva siano sostenibili investimenti per 1-1,4 miliardi di euro, ma se c’è la necessità di investire un miliardo almeno nell’ambiente, come sarà possibile aggiornare tecnologicamente l’impianto per far fronte ai competitor? I concorrenti di ILVA sono europei, sono vicini e sono tosti: non sarà una scelta facile».
Secondo Tommaso Sandrini, direttore generale di San Polo Lamiere, «nel breve periodo un’eventuale chiusura di ILVA aprirebbe qualche possibilità per alcuni operatori del comparto, ma l’Italia rimarrebbe con regole deboli nel settore acciaio e quindi diventerebbe debole anche il comparto dell’utilizzo che dipende dall’ILVA oggi». Per Giuseppe Manni, presidente del Gruppo Manni HP, «la produzione ILVA conta circa l’1,2% dell’acciaio mondiale, quindi se chiudesse a livello globale l’impatto sarebbe minimo. Per l’Italia, però, ci sarebbe molto più disordine sul mercato, inoltre per una parte della produzione di ILVA, circa il 10%, ci sarebbe un impatto molto negativo sul comparto, sia in termini di prezzo sia nella filiera, dove alcune aziende che si basano su particolari prodotti ILVA potrebbero essere escluse dal mercato».
Carlo Mapelli, docente di siderurgia del Politecnico di Milano, ha dichiarato che «la discussione sull’ILVA sta prendendo una brutta piega, soprattutto per ciò che riguarda l’AIA. L’AIA deve prevedere dei limiti alle emissioni, ma non può dire all’imprenditore cosa fare e dove investire: questo è un ambito nel quale deve essere lasciata la libertà imprenditoriale».
Mercato – L’economia italiana arranca, ma l’acciaio sta reggendo meglio. Questo si evince dai dati illustrati da Gianfranco Tosini durante la sessione dedicata al mercato del 26° Steel Market Outlook. «L’Italia è uno dei paesi europei nei quali il PIL è sceso di più nel 2012 – ha detto – ma la sua produzione siderurgica è diminuita meno della media europea (-1,9% nei primi otto mesi dell’anno contro il -4,2% dell’UE). Il nostro paese sta tenendo maggiormente in quanto sta mostrando una maggiore vivacità all’export, in particolare nei paesi che stanno crescendo di più, ovvero quelli extracomunitari». I dati sono eloquenti: nel primo semestre 2012 l’export extra UE della siderurgia nazionale è salito del 41,8%, contro ad esempio il +6% della Germania. Per ciò che concerne le previsioni nel breve periodo, nel prossimo semestre «a livello macro in tutto il mondo non ci sarà ripresa. Nell’area europea sarà peggio, con un PIL che nel 2013 sarà compreso tra il -0,4% ed il +1,4% e l’Italia che scenderà del -0,2% a causa dell’effetto trascinamento ereditato dal 2012». Per ciò che concerne i settori utilizzatori di acciaio, l’anno prossimo «si fermerà la discesa, ma non ci sarà ancora la ripresa».
Il settore delle costruzioni, che consuma una grossa quota dell’acciaio italiano, pari ad oltre 5 milioni di tonnellate annue, è in forte contrazione in Italia. Lo ha dichiarato Giuseppe Manni, precisando che le costruzioni nuove tra il 2008 ed il 2012 in Italia sono scese del 40% e nel 2013 scenderanno ancora del 3%. Parimenti, il consumo di acciaio in questo comparto «è calato del 38% negli ultimi 5 anni e scenderà ancora del 3% nel 2013. Bisognerà far conto su questi volumi ancora per un lungo periodo». La piaga dell’invenduto, infatti, «per i prossimi 5 anni non lascerà spazio alle costruzioni nuove: ci sono solo possibilità in alcune nicchie (per esempio le costruzioni in classe A o superiore), che però non potranno invertire la rotta del mercato». Sul versante dei prezzi, nella filiera, «c’è estrema confusione tra le aspirazioni dei produttori e le pressioni dei consumatori, i margini sono insufficienti, il sistema è in difficoltà finanziaria e c’è l’oggettiva impossibilità di alzare i prezzi dell’acciaio». Per rilanciare il settore, Manni propone «un piano pluriennale per la messa a norma del patrimonio immobiliare, un piano per le ristrutturazioni, agevolazioni finanziarie della BCE per questi piani, più collaborazione con il credito, una maggior incidenza delle energie rinnovabili e un’unità di intenti tra associazioni di categoria».
Si è concentrato, invece, sulle conseguenze di un possibile ridimensionamento dell’ILVA sul settore distributivo italiano Tommaso Sandrini. «L’ILVA è da anni il price-maker del mercato italiano – ha dichiarato – e negli ultimi anni ha avuto un ruolo di frangiflutti contro le importazioni. Se scomparisse l’ILVA i distributori dovrebbero ridefinire le politiche d’acquisto: i produttori siderurgici europei, infatti, hanno le potenzialità per produrre le quantità mancanti di acciaio. Verrebbe però a mancare il ruolo-guida dell’azienda tarantina. Saremo cioè costretti a rivedere il nostro ruolo: i nostri stock probabilmente saranno ridimensionati e i tempi di consegna diverranno più lunghi».
Achille Fornasini, chief analyst di Siderweb, ha infine rilevato che nel comparto delle commodity «si risente del rallentamento dell’economia reale: i prezzi sono in un trend ribassista, che si riflette anche sulle materie prime siderurgiche (minerale di ferro, carbon coke e rottame). I prezzi rappresentano bene l’attuale situazione di stagnazione globale, che perdurerà anche nei prossimi mesi».