Parliamo di esami (e siamo buoni)

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di Lucia Marchesi – Tempo di esami di maturità e della sessione estiva universitaria. Abbiamo riconosciuto a distanza di chilometri i maturandi 2012 il 9 giugno scorso, in mezzo alla fiumana di studenti che usciva gioiosa dai diversi istituti cittadini. È stato facile identificarli: con i loro colleghi più giovani non condividevano l’incontenibile entusiasmo e alcuni di loro non riuscivano proprio a nascondere quel leggero senso di catastrofe imminente che stringe lo stomaco.

Ma il vecchio esame di maturità fa ancora paura? Temo che quella sia l’unica caratteristica che nessuna riforma potrà mai cambiare. Diciamo anche che, proprio a causa delle frequenti riforme, nemmeno i diretti interessati sanno esattamente cosa aspettarsi, fino al fatidico momento in cui siederanno al loro banchetto, nel corridoio della scuola, con il loro bravo dizionario e una temperatura che sfiorerà i 45 gradi centigradi. Perché è una regola abbastanza certa che, nei giorni degli esami, il caldo raggiungerà picchi record. Quando fu il mio turno, nel lontano 2002, quelli della maturità furono i giorni in assoluto più caldi di tutta l’estate. Solita fortuna.

Ma come si preparano i ragazzi? Di solito, i più preoccupati sono quelli che a scuola se la sono sempre cavata egregiamente. Chi viaggia allegramente intorno al sei, come facevo io, spesso minimizza e si dichiara assolutamente tranquillo, salvo poi sfiorare la crisi isterica prima della prova orale, come ho fatto io.

Posso dire in mia difesa di non aver mai avuto un buon rapporto con il latino e la consapevolezza che la ragazza prima di me fosse riuscita a scamparla mi ha fatto veramente tremare. Infatti è stato un dramma, ma lasciamo perdere.

Si usava anni fa, e ho scoperto che si usa ancora, organizzare una specie di “ritiro” pre-esame. Un ragazzo ospita un gruppo di studio nella propria taverna, nei casi più fortunati nella casa delle vacanze, al lago, in montagna o al mare. Scopo della riunione dovrebbe essere lo studio intensivo senza interruzioni. Cosa che forse si verifica due volte su dieci, soprattutto in caso di soggiorno in luogo di villeggiatura, dove le distrazioni sono ovunque.

Dal punto di vista emotivo, forse se la passano meglio gli studenti universitari che, salvo eccezioni da tesi imminente, possono sempre incoraggiarsi con il pensiero «Se non va bene, proverò alla prossima sessione».

La cosa peggiore dell’esame universitario per noi era l’attesa. A me è capitato di aspettare un giorno intero, dalle 8 alle 19, per sostenere l’esame di storia dell’arte, e di dover tornare la mattina dopo.

Frustrante? Giusto un filo. Alla mia Università c’era la regola secondo la quale lo studente lavoratore ha sempre e comunque la precedenza. Giustissimo, ma quando sei lì ad aspettare da sei, sette ore e arriva quello che passa davanti a tutti, l’impulso di fargli lo sgambetto ce l’hai. Ho veramente apprezzato la regola solo quando ho iniziato ad appartenere alla categoria. È proprio vero, le cose cambiano a seconda del punto di vista.

Altro aspetto inquietante dell’attesa era il puntuale interrogatorio cui veniva sottoposto lo studente appena sopravvissuto alla prova: il poveretto usciva dall’aula, pensando magari «Adesso mi bevo un caffè, e poi vado a casa» e i compagni lo assalivano letteralmente con domande del tipo «Com’è? Il profe è di buon umore? E i commissari?». Ma era soprattutto una domanda a scatenare il panico: «Cosa ti hanno chiesto?». Mi è capitato più di una volta di vedere studenti in attesa alzarsi e tagliare la corda dopo aver sentito la risposta a tale quesito. «Io queste cose non le so… proverò la prossima volta». L’ho fatto anch’io, una volta. Tanto poi alla sessione successiva, quando sentirai l’esaminato che racconta «Mi hanno chiesto questo, questo e quello» ti capiterà esattamente la stessa cosa: penserai «Oddio, questo non lo so», ma non te la sentirai più di dartela a gambe, soprattutto se rischi di andare fuori corso.

Ma come avvengono gli esami? Il nervosismo gioca dei brutti scherzi e così ci sono ragazzi che, per prendere tempo, alla domanda diretta rispondono subito «Aspetti!» oppure «Un attimo!». Altri perdono il controllo del linguaggio e, in una prova che richiederebbe quanto meno l’uso corretto dell’italiano, alla domanda «Perché avvenne questo?» brescianamente rispondono «Pota, perché…». Altri ancora, forse a causa dello studio troppo intensivo, confondono totalmente gli argomenti e se ne escono con perle del tipo «Romano e Romanico sono la stessa cosa…».

Ma veniamo alla votazione. Da questo punto di vista, il punteggio della Maturità è più facilmente indovinabile, perché è un calcolo matematico: le prove scritte valgono complessivamente 45 punti, l’orale 30 a cui si aggiungono i crediti maturati durante gli anni di scuola. Se sei promosso, il voto che hai te lo tieni, non è consentito rifiutarlo come agli esami dell’Università, anche se dubito che qualcuno lo farebbe.

Rifiutare un voto. Pratica secondo me assolutamente incomprensibile. Se facendo uno sforzo riesco (quasi) a capire chi rifiuta un 18, non riesco a capacitarmi che qualcuno possa rifiutare un 27. Ma chi te lo fa fare? È un bellissimo voto! Eppure ci sono. E magari alla sessione successiva prendono 25. Punizione divina.

Ho sempre trovato strano un voto come 29, perché in fondo ti vien da pensare «Dai profe, hai fatto 29, fai 30…» e ho sempre invidiato i 30 e lode. Voto mai conquistato in tutta la mia carriera accademica. Ricordo un insegnante che per guadagnare tempo invece di “30 e lode” scriveva “31”: una mia compagna di corso era riuscita a conquistarlo e noi ci eravamo passati il libretto per vedere di persona questo fenomeno. Si sa, a 19 anni ti entusiasmi con poco…

Alla fine, una cosa accomuna tutti gli esami: quel senso di liberazione, quando esci dall’aula con il libretto firmato, pensando «Non era poi così difficile» (anche se solo un quarto d’ora prima per il nervosismo avresti quasi picchiato un tuo compagno), o quando leggi, sui tabelloni fuori dalla scuola, che nonostante qualche momento di défaillance ce l’hai fatta. E senti che, finalmente, sono arrivate le vacanze.

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