di Lucia Marchesi – Parliamo di viaggi. Ponte del primo maggio, clima gradevole, voglia di evadere e tutti in partenza. Finalmente loccasione per allontanarsi dalla città, non troppo ovviamente, perché i giorni non sono molti.
Quello bresciano, si sa, è un popolo di lavoratori e le vacanze sono il meritato riposo. Però, si sa anche che questo popolo straordinario ha un veniale difettuccio che si manifesta nelle più svariate occasioni. Vi ricordate quando vi ho parlato dellauto come status symbol? Vale anche per il luogo di villeggiatura. Eh sì.
Vi è mai capitato di discutere a proposito di dove si andrà in vacanza? Quando me lo chiedono, la mia risposta è la stessa da quasi 29 anni: «Vado qualche giorno a Rimini». Quella che è cambiata è la reazione. Una volta mi dicevano «Bello, ci sono stato anchio», adesso mi guardano come se fossi unextra terrestre. Come se non sapessero bene come reagire, se prendermi sul serio o scoppiare a ridere. Perché salvo eccezioni, come Milano Marittima, paradiso dei fighetti, andare in Riviera non è più abbastanza chic. Quindi molti miei altolocati concittadini non ammettono volentieri di andarci, quando si parla di vacanze ti descrivono isole lontane, però a Ferragosto sul bagnasciuga riminese senti urlare solo «Pota!» e altre simpatiche espressioni bresciane.
Ma veniamo al viaggio vero e proprio. Innanzitutto la preparazione della valigia: quella di portarsi dietro solo il minimo indispensabile è unarte sconosciuta non solo alle femminucce, ma anche a molti maschietti. E così capita che per un fine settimana qualcuno parta con lauto carica a sufficienza per un giro del mondo.
Nutro profonda stima e ammirazione verso quei genitori che affrontano chilometri e chilometri di strada accompagnati da una fantastica colonna sonora. «Quanto manca? Quando arriviamo? Dove siamo?», cantilenati ininterrottamente dai pargoli per tutta la durata del viaggio, sono paragonabili alle dodici fatiche di Ercole. Meno male che oggi i bambini devono obbligatoriamente stare sul seggiolino e comunque legati, sempre, anche dietro. Laumento del buon senso in fatto di sicurezza in auto per i bambini risparmia quanto meno ai genitori il dramma di vedere i figli esasperati dal viaggio che si azzuffano sul sedile posteriore, anche se ancora non è stato trovato lantidoto alla cantilena. Certo è che ci sono genitori così bene organizzati, che riescono a soddisfare qualsiasi richiesta dei piccoli senza nemmeno dover rallentare: succo di frutta, snack, sulle auto più moderne perfino il cartone animato. Lunica conseguenza negativa è che lo spazio posteriore diventa una specie di discarica. Ma si sa, non si può avere tutto.
In effetti quella dei generi di conforto durante le trasferte è unabitudine abbastanza consolidata, soprattutto quando fa caldo: conoscevo una famiglia che, anche per andare la domenica sul lago, partiva con il frigo bar pieno di roba. E se chiedevi loro «Andate a fare un pic-nic?» ti rispondevano «No no, è per il viaggio».
Devo però far presente uno dei peggiori vizi dei viaggiatori in auto. Vizio in realtà quasi esclusivamente femminile. I piedi sul cruscotto. Nudi. Vi giuro, li odio. Prima di tutto, mi chiedo con quale cuore una donna possa costringere il proprio marito a viaggiare per ore con in suoi piedi praticamente in faccia. E vorrei far notare che non è un bello spettacolo, questa sfilza di piedacci lungo tutta lautostrada. E siamo fortunati perché stiamo parlando di auto. Perché ci sono raffinate signore che lo fanno anche in treno. Sedute comode, con i piedi nudi sul sedile di fronte, deliziano tutti gli altri passeggeri.
Bambini impazienti, code, traffico intenso. Meno male che poi si arriva a destinazione e ci si possono godere due giorni di relax. Peccato che poi si debba tornare. E di nuovo bambini impazienti, code, traffico intenso, a cui si aggiunge un po di malumore. Perché una volta arrivati non ci si può rilassare. Si torna al lavoro.
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