Le categorie umane dello spettatore cinematografico
di Lucia Marchesi – Parliamo di cinema. Intramontabile passatempo bresciano, ma non solo, ancora apprezzato a tutte le età. Si inizia ad andarci da piccolini, accompagnati dai genitori, poi con gli amici, il morosino, il consorte e, infine, si portano i figli. Tipo “cerchio della vita”, giusto per dare una citazione cinematografica.
La tradizione bresciana vuole che il cinema sia la conclusione della festività natalizia: effettivamente, è l’unica attività che siamo in grado di svolgere dopo il pranzo più impegnativo dell’anno. Ma al cinema si va sempre volentieri.
Ci sono i veri cinefili (da non confondere con i cinofili, ovviamente) che vanno a vedere tutto, qualsiasi film, di qualsiasi tipo, poi ci sono quelli che seguono solo un certo genere, infine i semplici accompagnatori.
Sovrani indiscussi di quest’ultima categoria sono i giovani genitori che, con lo stesso entusiasmo di un condannato al patibolo, conducono rassegnati la prole a vedere l’ultimo cartone animato.
Diciamo che possono consolarsi pensando che le sale cinematografiche di oggi sono molto più “a misura di bambino”: le poltrone disposte a gradinata non provocano lo scoppio di pianto isterico «Non ci vedo» che i nostri genitori hanno dovuto placare facendo improbabili costruzioni con i cappotti (il vero problema era in estate: allora sì che si sfiorava la tragedia!) ma, soprattutto, il fatto che la sedia non si richiuda con il pargolo al suo interno risparmia alle nuove generazioni la spiacevole esperienza del toast e i conseguenti lividi. Che bambini fortunati…
Ho notato che è ormai quasi abitudine che quattro o cinque mamme si mettano d’accordo e portino i bambini al cinema in gruppo. Pratica che richiede da parte delle madri l’attenzione del vigile urbano, e da parte dei bambini una buona dose di pazienza. Perché è scientifico: se tua madre è tra le accompagnatrici, sei sicuro che ti riprenderà per qualsiasi cosa, anche se fai cadere un pop corn partirà la ramanzina.
Superato il drammatico momento di far sedere il gruppo di fanciulli, cercando di accontentare tutti i «Io vicino a…», finalmente si spengono le luci e inizia il cartone. Durante il quale i sopra citati genitori non “faranno sito” un minuto.
Signori. Ma soprattutto signore. È un cartone animato. Per bambini. I bambini sono perfettamente in grado di comprenderlo: non è assolutamente necessario che spieghiate loro ogni singola scena. Se mai sono loro a doverla spiegare a voi. State zitti cinque minuti e lasciate che si godano la magia del cinema. Se non ci riuscite, riempitevi la bocca di pop corn. Grazie.
In realtà il vizio di dare la propria versione dei fatti narrati dalla pellicola è piuttosto diffuso anche per altri generi di film. Non è raro sentire dietro di sé qualcuno che sussurra «Vedrai che adesso fa così».
Esiste poi lo spettatore consigliere. Vero è che il cinema si è molto evoluto, ormai siamo al 3D, ma i film interattivi ancora non li hanno inventati. Vi è mai capitato, magari guardando un film horror, di avere il vicino di posto che cerca disperatamente di dare consigli al protagonista «No, attento! Non andare di là»?
Ci sono poi gli emotivi: di solito le donne si sentono molto partecipi della storia proiettata sullo schermo. Vogliamo parlare dei film che fanno piangere? Bellissimo il momento in cui si riaccendono le luci e tutte le donne sono lì, con due fanali al posto degli occhi, il trucco che cola. Il tutto solitamente si conclude con lo scoppio di ilarità da parte del pubblico maschile. Insensibili.
Ultima categoria dello spettatore cinematografico: il condannato.
Da non confondere con l’accompagnatore, il condannato è quello che va a vedere un film perché tutti ne parlano, perché ha vinto molti premi, o perché c’è l’attore del momento, ma in realtà ne farebbe volentieri a meno.
A loro volta, i condannati si dividono in due sottocategorie: i rassegnati e i polemici. I primi non danno nessun fastidio, si siedono sulla loro poltroncina, probabilmente dormono, qualche volta si ricredono e, alla fine della proiezione, concedono un «Credevo peggio».
Al contrario, i polemici sono una piaga. Non fanno altro che borbottare ininterrottamente, dai titoli di testa ai titoli di coda, armeggiano con il cellulare, commentano ad alta voce, ovviamente in senso negativo, e quando le luci si riaccendono, concludono con «Che schifo». Avere un condannato polemico come vicino di posto è una punizione divina. A me è capitato all’ultimo film del Signore degli Anelli. Che dura la bellezza di tre ore e più. Alla fine ero distrutta.
Dopo l’ultima pausa, si apre la scena finale e il polemico sbotta «Ma basta! Che barba!». Disperata, gli chiedo «Scusa, ma chi te l’ha fatto fare di venirlo a vedere?» «Ho visto gli altri due, dovevo vedere come va a finire» risponde lui, seccato.
Signori, un appello: quando esiste, prendete in considerazione la versione letteraria, oppure aspettate il dvd… fate quello che volete ma non venite al cinema. Perché non potete tediare tutti gli altri. Non vi piace il film? «Francamente, me ne infischio».