di Lucia Marchesi – Parliamo di cibo. Passata la Quaresima, ci siamo goduti la meritata scorpacciata pasquale e adesso tv e giornali ci informano gentilmente che è ora di rimetterci a stecchetto per la famigerata prova costume.
Anche se, visto il clima degli ultimi giorni, la suddetta prova sembra più lontana che mai. Colpa, a quanto pare, del ciclone mediterraneo Lucy, o Lucia, che prima o poi qualcuno dovrà spiegarmi perché sia stato chiamato così.
Comunque, dicevamo, popolo di buongustai quello bresciano, favorito da questo punto di vista da una provincia estremamente variegata che, dalla montagna, ai laghi, alla pianura, offre una grande varietà di pietanze, una più gustosa dellaltra.
Magari non rinomata come altre cucine italiane, quella bresciana non ha nulla da invidiare a piatti famosi in tutto il mondo. Perché, perdonate il patriottismo gastronomico, per me non esiste dolce più buono della spongada camuna. E non esiste primo piatto più straordinario dei casoncelli alla bresciana, o pesce più gustoso della tinca al forno, ovviamente accompagnata da una buona dose di polenta, se no come fai a puciare? Il tutto innaffiato da uno dei nostri vini che, guarda un po, sono ormai ufficialmente tra i migliori del mondo.
Caratteristica comune di tutte queste prelibatezze? Il discreto apporto calorico. Purtroppo la nostra cucina tradizionale non è esattamente quella che ti consigliano nelle diete dimagranti.
Come combattere il senso di colpa derivante dallaver ingurgitato la quantità di calorie sufficiente per attraversare a nuoto il mare Adriatico? Ovviamente, sfiancandoci in palestra.
Negli ultimi anni la nostra città si è arricchita di nuove strutture sportive, alcune così grandi e bene attrezzate da poter offrire una preparazione completa a una squadra olimpica. E sono tutte molto frequentate. Anche da me. Iscritta in un raptus di follia, appartengo a quella categoria di pigri che iniziano pieni di entusiasmo e dopo un mese trovano tutte le scuse possibili per saltare lallenamento.
Posso dire a mia discolpa che noi che apparteniamo alla sopra citata categoria, che abbiamo la preparazione atletica di un carciofino sottolio, ci sentiamo parecchio a disagio in queste palestre dove molti altri ce la mettono veramente tutta.
Entri in sala, strapiena dopo il lavoro, cerchi di evitare il pugile che molla fendenti allaria, che evidentemente non si rende conto di essere un potenziale pericolo per lincolumità di chi passa da un attrezzo allaltro, e trovi venti o trenta tapis roulant su cui altrettanti atleti corrono come forsennati, con lo sguardo perso nel vuoto. Ci sono altre sale con musica a tutto volume in cui si tengono corsi di step, per i quali forse sono espressamente richiesti completini allultimo grido. E vogliamo parlare dei corsi di acquagym? Comè possibile che listruttore, che guida le allieve dal bordo della piscina, e quindi allasciutto, non sembri fare nessuna fatica, mentre chi esegue gli esercizi in acqua sembra fare una fatica sovrumana?
Affaticata solo dallaver assistito allo sforzo altrui, me ne torno negli spogliatoi. Devo riconoscere un merito alle mie concittadine: non si esce dalla palestra se non si è veramente impeccabili, non importa se sono le nove di sera passate; doccia, crema corpo, messa in piega e trucco richiedono più tempo delleffettivo allenamento, ma sono passaggi indispensabili.
Borsone sulla spalla, ci avviamo tutte verso casa, ovviamente in auto, abbiamo già fatto troppo movimento per oggi. Chissà se anche loro, come me, appena la porta automatica della palestra si chiude alle nostre spalle, pensano «Adesso, mangerei volentieri una spongada».
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