(a.t.) Federico Manzoni (Pd) è il più giovane consigliere dell’opposizione in Loggia. Sulla questione della presenza dei giovani in politica e nel suo partito l’abbiamo messo a confronto con Mariachiara Fornasari (Pdl). Due figure per certi versi speculari, visto che hanno la stessa età, si sono iscritti e laureati lo stesso anno in Giurisprudenza e siedono in consiglio su banchi opposti.

D – Governo Monti, come si sente ad essere alleato di Mariachiara Fornasari?
R – Faccio molta fatica. Nel governo credo molto, nella coalizione che lo sostiene meno. Ma si è trattato di un passaggio obbligato, quindi mi limito a prenderne atto.

D – L’età media del governo è di 64 anni, il più vecchio della storia della Repubblica. Che ne pensa?
R – Il problema del governo Berlusconi non era anagrafico, ma di qualità delle scelte e di stile. Rispetto a quell’esecutivo sarebbe andata bene forse anche una media di 80 anni. Perché prima viene la qualità politica, poi – a parità di condizioni – la biografia delle persone.

D – Lei ha 29 anni. Fino a che punto si è giovani in politica? Sa che altrove sarebbe quasi da rottamare?
R – So di aver già fatto un’esperienza politica significativa: quasi nove anni di consiglio comunale e molti di più di militanza. Ma la questione dell’età dovrebbe valere soprattutto per i ruoli di vertice. Quanto al resto, ricordo un esponente politico ex An che a 35 anni si gloriava di far parte dell’esecutivo nazionale di Azione Giovani. Ecco: io mi ritengo già fuori dal movimento giovanile, ma ancora giovane all’interno del partito.

D – Parliamo del Pd. Dove sono finiti i giovani?
R – A livello locale vedo tante belle esperienze: sindaci, assessori e consiglieri giovani non mancano. Questo salto non si riesce a fare però sugli alti livelli di rappresentanza, anche a causa di un sistema elettorale che premia la cooptazione, la vicinanza al leader di turno e l’incasellamento in correnti. Con le preferenze, come avviene per i Comuni, tutto è invece contendibile e aperto. Non è un caso, ad esempio, che io abbia alle Comunali preso più preferenze di un grande vecchio della politica come Aldo Rebecchi.

D – Ha parlato di correnti. Nel Pd dove si colloca?
R – Mi sento molto libero. Ho fatto battaglie locali e nazionali basandomi sempre su mozioni e progetti. Prima ho appoggiato la Bindi, poi – al provinciale- Riccardo Frati e oggi sono moderatamente critico nei confronti della gestione Bersani. Ma il gioco delle correnti mi sembra abbastanza sciocco: la situazione attuale richiede apertura, non incasellamento.

D – Le correnti sono una categoria vecchia dunque?
R – Le correnti sì. Bisogna però mantenere una coerenza con idee e progetti, guardando non tanto da dove si viene, ma dove si vuole andare. Chi vuole rivendicare una storia e un’identità politica – io ad esempio sento di avere un’ispirazione cattolico democratica / popolare – deve poi sapere che queste portano con sé implicazioni molto concrete su alcune scelte politiche: è difficile capire oggi se alcuni credono davvero nei valori fondanti che dovrebbero ispirarli.

D – Dei Riformisti 3.0 che ne pensa?
R – Mi pare un’iniziativa intelligente, anche se parte da un punto di vista diverso dal mio. Loro rappresentano la versione cresciuta dell’area della Sinistra giovanile dei Ds.

D – Chi è il più vecchio, come mentalità, tra i politici della Leonessa?
R – Mi lascia perplesso che diverse figure, pur avendo già dato molto, occupino ancora ruoli importanti. Se devo pensare a un nome, però, il primo che mi viene in mente è Ettore Isacchini. Quella che un segretario di partito (Pdl) possa occupare anche un incarico di grande responsabilità in un ente pubblico (Aler) mi pare una vecchissima idea da Prima Repubblica.

D – Immaginiamo che l’Italia diventi di colpo come gli Stati Uniti. Chi si immagina sindaco di Brescia o presidente della Provincia, sempre che esistano ancora, all’età di 40 anni?
R – Sulla città ho un piccolo conflitto di interessi… Quanto al resto vedo diverse persone in gamba che oggi occupano ruoli non di vertice. Nel Pd, ad esempio, potrei fare i nomi di Tommaso Gaglia, Pietro Ghetti, Mara Bergomi e Michele Orlando. Non so poi chi possa avere tra questi un ruolo di leadership. In politica c’è chi ha una visione molto leaderistica, mentre io seguo il modello martinazzoliano, che punta più sulle assemblee elettive e la leadership collettiva.

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Redazione BsNews.it

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