La Consulta: no ai doppi incarichi. Paroli al bivio, sindaco o parlamentare? Lui: “Scelgo Brescia”

Niente più doppio incarico per i parlamentari-sindaci. La Corte Costituzionale, decidendo sul caso Stancanelli, senatore del Pdl e sindaco di Catania, ha bocciato la legge n.60 del 1953 nella parte in cui non prevede l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di un comune con più di 20mila abitanti. Una sentenza che avrà ripercussioni in molti comuni (qui l’elenco di tutti i sindaci con doppio incarico). Anche a Brescia, dove il sindaco-parlamentare Adriano Paroli sarà costretto a scegliere: restare deputato a Montecitorio o primo cittadino a Brescia? 

"Se la notizia sarà confermata e dovrò optare da subito solo su un incarico, rimarrò a Brescia. Era già tutto in previsione" spiega Paroli sull’edizione odierna di Bresciaoggi "considerato che nel 2013 sarò in pista per il secondo mandato da sindaco e avevo già detto che non mi sarei ricandidato al Parlamento, ma i cittadini bresciani mi hanno votato per fare il sindaco e io sono assolutamente fedele a questo mandato".

A sollevare la questione dinanzi alla Consulta è stato il Tribunale civile di Catania, al quale un elettore, Salvatore Battaglia, aveva fatto ricorso. Candidatosi a sindaco di Catania nel giugno del 2008, quindi dopo essere stato eletto due mesi prima senatore del Pdl, Raffaele Stancanelli aveva mantenuto il doppio incarico. La decisione della Consulta – la n.277 – ha tuttavia valore per tutti quei parlamentari divenuti sindaci di grandi citta’ e che dovranno dunque scegliere quale dei dunque incarichi mantenere.

La Consulta è così di fatto intervenuta in maniera additiva, colmando un vuoto legislativo che causava – si legge nella sentenza scritta dal giudice Paolo Grossi – ”la lesione non soltanto del canone di uguaglianza e ragionevolezza ma anche della stessa liberta’ di elettorato attivo e passivo”. La legge statale, infatti, prevede espressamente che non sono eleggibili alla carica di parlamentare nazionale i presidenti delle Province ed i sindaci dei Comuni con più di 20mila abitanti, ma nulla dice riguardo all’ipotesi inversa, vale a dire sull’ineleggibilita’ a sindaco di chi e’ gia’ parlamentare.
 
"Si tratta dunque – scrive la Corte – di verificare la coerenza di un sistema in cui, alla non sindacabile scelta operata dal legislatore (che evidentemente produce in se’ una indubbia incidenza sul libero esercizio del diritto di elettorato passivo) di escludere l’eleggibilita’ alla Camera e al Senato di chi contemporaneamente rivesta la carica di sindaco di grande Comune, non si accompagni la previsione di una causa di incompatibilita’ per il caso in cui la stessa carica sopravvenga rispetto alla elezione a membro del Parlamento nazionale”. I giudici costituzionali, alla luce di precedenti sentenze costituzionali, ritengono necessario che ”il menzionato parallelismo sia assicurato, allorquando il cumulo tra gli uffici elettivi sia, comunque, ritenuto suscettibile di compromettere il libero ed efficiente espletamento della carica”, cosi’ come previsto dagli articoli 3 (principio di uguaglianza e ragionevolezza) e 51 (liberta’ di elettorato attivo e passivo) della Costituzione. Secondo la Consulta, dunque, la ”previsione della non compatibilita’ di un ‘munus’ pubblico rispetto ad un altro preesistente, cui non si accompagni, nell’uno e nell’altro, una disciplina reciprocamente speculare, si pone in violazione della naturale corrispondenza biunivoca delle cause di ineleggibilita’, che vengono ad incidere necessariamente su entrambe le cariche coinvolte dalla relativa previsione, anche a prescindere dal dato temporale delle’elezione”. La pronuncia di illegitimita’ riguarda, per la previsione, gli articolo dall’1 al 4 della legge n.60 del 1953 ”nella parte in cui non prevedono – si legge le dispositivo – l’incompatibilita’ tra la carica di parlamentare e quella di sindaco di Comune con popolazione superiore ai 20mila abitanti". 

 

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Redazione BsNews.it

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