Il neo presidente dell’Azione cattolica Andrea Re: “Dico sì alle nuove moschee”

di Federica Papetti- Andrea Re, 34 anni, raccoglie il testimone da Michele Busi e per i prossimi tre anni sarà il presidente dell’Azione Cattolica di Brescia. Bsnews conversa con il presidente neoeletto sui temi cari all’associazione ecclesiale.

Lei è molto giovane come si sente avendo accettato un incarico di non poca importanza in una città come Brescia: emozionato, lusingato o preoccupato?

Un po’ devo ammettere sono preoccupato perché rappresentare 5000 iscritti in una realtà come quella bresciana, appunto, sia come Chiesa che come comunità civile non è cosa banale. Anche se forse non è più come negli anni Sessanta. Ma io ho deciso di accettare perché attorno alla mia disponibiltà esistono una serie di altre disponibilità che rendono tale incarico meno gravoso e molto più partecipato.

Come viene eletto il presidente di AC?

L’Assemblea diocesana, espressione di tutte le realtà parrocchiali sul territorio, è articolata in un Consiglio che a sua volta esprime una terna di nomi sui quali decide anche il Vescovo.

Quali saranno le priorità del suo mandato?

Non ci inventiamo nulla perché l’Assemblea ha già votato un documento programmatico triennale che delinea i binari sui quali incardinare i progetti e le attività di Ac. Il primo tema in agenda è sicuramente la valorizzazione dell’impegno missionario nel contesto sociale e civile, un terreno che deve fungere da cerniera tra la Chiesa e la società.

Come valuterebbe oggi, a parecchi lustri di distanza dal Concilio Vaticano II, l’autonomia del laicato?

Direi che esistono problemi. Ma anche delle opportunità. Il laici di oggi non sono sempre maturi e questo in parte è causato anche dalle gerarchie ecclesistiche che, negli ultimi anni, ne hanno limitato la crescita agendo in prima persona su molti temi, parecchi dei quali ben avrebbero potuto essere appannaggio dei laici. Insomma, la voce dei vescovi ultimamente si è fatta sentire a 360 gradi, ma nello stesso tempo è doveroso sottolineare che anche i laici hanno preferito demandare ad altri la partecipazione o l’intervento diretto. Direi che anche i laici hanno preferito “collaborare” invece che animare la discussione. In questo contesto, dunque, si prospettano non poche opportunità perché anche da parte dei vescovi c’è la netta percezione che sia necessaria una presenza qualificata del laicato. Talvolta il problema è animare il dibattito nelle comunità parrocchiali un po’ più restie a prendere le redini come desidererebbero, appunto, anche le gerarchie ecclesiastiche.

Che rapporti esistono tra Azione Cattolica e le altre associazioni ecclesiali bresciane?

Prima di tutto devo precisare che, nonostante abbia avuto altri incarichi di responsabilità all’interno di AC, è la prima volta che mi trovo ad agire in qualità di presidente ed è proprio con tale ruolo che coltiverò direttamente dei rapporti con le altre associazioni. Detto questo, nelle aggregazioni che si muovono all’interno della Consulta diocesana esistono diverse sensibilità, un dato positivo che arricchisce in modo reale le diverse discussioni. Direi che Azione Cattolica conserva il proprio carattere democratico, una caratteristica che intende proseguire a tutelare perché proprio in tale aspetto ne ravvede un valore sia dal punto di vista ecclesiale che che più in generale civile. Le occasioni di confronto con le altre organizzazioni saranno le benevenute, anzi auspicate, quale momento di condivisione sui temi del Vangelo e non solo.

Cosa risponderebbe a chi intravede in AC l’associazione dei cattolici “comunisti”?

Già nel 1969 AC ha fatto la scelta di mettere da parte il collateralismo, ossia la vicinanza ad un partito di riferimento, distinguendo l’impegno nell’associazione da quello politico. Poi mi sento di dire che il Vangelo su molte questioni sociali è poco interpretabile e con questo non voglio proprio dire che sia di sinistra ci mancherebbe. Eppure su temi come l’accoglienza, il rispetto, o la tolleranza è difficile sostenere che Gesù tenga un atteggiamento indifferente. Poi al di la delle scelte dei singoli che riemangono del tutto legittime se AC vine identificata politicamente è la manifestazione di una spaccatura nella comunità che deve per forza essere affrontata.

A proposito di accoglienza, tema locale e nazionale, cosa chiede AC alla Chiesa e alla politica?

Come AC abbiamo ascoltato più di una volta gli interventi di padre Toffari e siamo convinti che delle difficoltà esistano, ma devono essere affrontate. Innanzittutto bisogna definire che cosa significa essere cittadini e organizzare le regole che sovraintendono tale stato giuridico, senza distinguere l’appartenenza ad un determinato Stato o nazione, senza distinzione tra chi è nato in Italia o chi qui è arrivato. Detto questo, credo che entrare a far parte del nostro Stato dovrebbe essere più semplice. Questo si chiede alla politica, il rispetto per tutte quelle persone, straniere e sono tante, che rispettano le regole e vivono sul suolo italiano.

E alla Chiesa?

Siamo in un momento di transizione caratterizzato da una rapida evoluzione dei contesti sociali, quindi, sono normali le difficoltà di adattamento.Nel 2008 con un gruppo di giovani di AC abbiamo affrontato questo tema e ne è emerso che vogliamo affronatare il dibattito dell’immigrazione nell’ottica del Vangelo, testimoni della Parola senza chiudere gli occhi sui problemi che pone il tema. Sosteniamo il Centro Migranti di Brescia mettendone a disposizione risorse, anche umane, e con il progetto “Brescia aperta e solidale”  realizzato appunto dal Centro Migranti abbiamo collaborato per coinvolgere immigrati e italiani a livello di quartiere per una reciproca conoscenza e legittimazione.

Un modo per aprire il dibattito sulla partceipazione dei nuovi cittadini alla vita della polis. Secondo lei a loro interessa?

In questo percorso ha partecipato un ragazzo africano laureato in legge e voglio riportare le sue riflessioni. “Quando gli immigrati rappresentano in terzo della popolazione residente è evidente che vogliano esprimere una propria opinione”. Poi per quanto riguarda gli strumenti da metter in campo atti a favorire tale pertecipazione lascio la parola agli esperti perché non avrei le competenze per affrontare un tema che richiede un approccio anche giuridico.

L’eventuale apertura di due nuove moschee sta facendo discutere Brescia e le sue Istituzioni. Lei cosa ne pensa?

Su questo tema esistono due punti di riferimento: il primo è la Costituzione che garantisce la libertà di culto e poi le autorevoli opinioni delle autorità acclesistiche. Per esempio il cardinale Tettamanzi a Milano è già intervenuto parecchie volte su questo argomento. Io credo che, proprio umanamente e non voglio scadere nella banalità, esistono dei problemi di ordine sociale, ma la chiave è ancora una volta il dialogo. Dobbiamo sporcarci le mani e magari commettere degli errori, per costruire come diceva Lazzati “la città dell’uomo”.

Lei è favorevole o contrario?

Non farle o non permetterle significherebbe tollerare cittadini di serei A e cittadini di serie B.

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Redazione BsNews.it

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