Nell’ultimo Consiglio comunale il centro destra ha respinto un mio emendamento che prevedeva che il “nuovo assessorato alla famiglia” non fosse esclusivamente riferito ad una famiglia “fondata sul matrimonio tra uomo e donna”.
A sostegno di questa opinione ho portato diversi argomenti. Il fatto che a Brescia tali famiglie rappresentano solo il 37% dei circa 92 mila nuclei familiari. Che la Costituzione nel riconoscere “i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, non nega per questo diritti anche ad altre forme di convivenza affettiva o semplicemente solidale. Che una decina d’importanti leggi disciplinano rapporti familiari e tutelano conviventi e minori di “coppie di fatto”. Che il ministro Sacconi nel Forum nazionale sulle famiglie ha specificato che le politiche governative sono estese anche alle famiglie di fatto. Che il testo stesso della Giunta Paroli prevede interventi per famiglie, in assenza di matrimonio.
Nulla da fare. Pur di fronte alla ragionevolezza degli argomenti, all’evidenza dei reali problemi sociali da affrontare, agli obblighi stessi della legge, nulla fa fare.
Perchè? Semplicemente per una strumentalizzazione politica ed una opportunistica adesione ideologica. Come ho detto nel mio intervento in Consiglio: una bandiera da esibire sul pennone.
Ma se così stanno le cose vanno messi in campo anche altri argomenti. Senza dover attingere solo al vasto e ben noto campionario esibito dal Rubygate del presidente Berlusconi.
Per quanto mi riguarda sono profondamente convinto della libertà delle scelte personali, del valore delle responsabilità che implicano, del rispetto assoluto che esse meritano.
Ma quando sul tema della famiglia ci si trova di fronte ad amministratori pubblici che pretendono da altri il contrario di quel che loro fanno, quando viene meno da parte loro la reciprocità del rispetto, che si fa?
Penso che non si debba tacere. Perché prima del rispetto per sindaci, presidenti di consiglio ed assessori – e del codazzo di pavone delle loro ipocrisie – meritino rispetto, in primo luogo, i cittadini che hanno il diritto d’essere ben amministrati e non ben imbrogliati. Di aver davanti la verità dei fatti e non l’ingarbugliamento delle menzogne.
Si possono praticare due vie, entrambe – per così dire – “evangeliche”. L’una prevede di porgere l’altra guancia, l’altra ci ricorda – nel vangelo di Matteo – che chi di spada ferisce di spada perisce.
Ricordo, in occasione del referendum sul divorzio del ’74, d’aver chiesto a bruciapelo, e senza alcun fair play, ad un esponente D.C., testimone del no al divorzio e del matrimonio “indissolubile”, perché volesse negare ai cittadini ciò che si sapeva aspettasse in grazia per se stesso. Già, “politically scorrect”, da parte mia! Ma non l’ho più visto in giro per l’intera campagna elettorale. In compenso, tempo dopo non mi è mancata l’occasione, con una certa qual mia faccia tosta, di congratularmi con lui per la sua nuova famiglia. E, pure con la nuova moglie, del fatto “provvidenziale” che il marito avesse perso il referendum.
So che è un terreno delicato, scivoloso, ma so anche per certo che su temi così “sensibili” per le libertà personali non si è obbligati a rispettare chi non porta rispetto. So anche che non si può per convenienza elettorale subire la logica dei “nuovi crociati” che brandiscono il crocifisso come spada od il matrimonio come un’ideologia di appartenenza e di discriminazione tra i cittadini.
E’ questa una delle “aggressioni” in piena regola imposte in Loggia, a fil d’alabarda leghista, e subita da quasi tutto un centro destra, ormai privo di autonomia, leghizzato senza neppure un vago tentativo di resistenza. Neppure di fronte ai conati secessionisti d’un assessore. Con l’eccezione del collega Agnellini e pochi altri.
Temi troppo seri, troppo delicati che vanno dritti al cuore delle libertà personali e della laicità delle istituzioni. Anche locali.
Troppo importanti per la civiltà dei rapporti per non sentire il dovere di additare pubblicamente l’ipocrisia dei “sepolcri imbiancati”, come si suole dire per queste occasioni. A maggior ragione, a livello di Comuni, se si tratta di sindaco, presidente di consiglio e d’alcuni assessori, che – in base ai criteri che loro vorrebbero imporre agli altri, ma non a se stessi – razzolano un gran male.
Sindaco, presidente, assessori immaginari – ben s’intende! – d’una città immaginaria che potremmo chiamare – con Italo Calvino – Leonia. Una città in cui alcuni amministratori esigono dagli altri “rigore e pulizia”, mentre accumulano – lontano però dalla vista dei cittadini – montagne di menzogne e di pattume.
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