Caso Saidou, quando è la legge che uccide
di Federica Papetti – Saidou Gadiaga è morto a trentasei anni in una cella di Brescia perché non aveva il permesso di soggiorno. Saidou è morto perché non aveva un foglio di carta che ne legittimasse l’esistenza. Saidou non è morto per un attacco di asma, ma perché era clandestino. Saidou non è morto per qualche negligenza, perché qualora fosse accertata una circostanza del genere, quel ragazzo senegalese morirebbe due volte: ucciso da una legge senza umanità e da una città che ha dimenticato la pietà.
Ci saranno indagini, polemiche e recriminazioni, ma poco importa quella legge dice che un uomo senza un pezzo di carta non può vivere, anzi non ha il diritto di vivere, a meno che si consideri vita lo sfruttamento quotidiano, il lavoro nero, la paura costante di essere fermati dalle Forze dell’ Ordine, l’impossibilità di una normalità umana e dignitosa.
Due cose accomunano e rendono migliori, gli Stati democratici, soprattutto quelli europei, la sanità pubblica e lo stato di diritto dove la legge anela alla giustizia, dove la legalità è stata inventata per proteggere i più deboli. Una prospettiva che fatica a coprire il reato di clandestinità. Di quale tremenda azione sono portatori coloro che giocano il tutto e per tutto pur di scappare dai propri Paesi? Quale danno arrecano coloro che insistono ad andare anche dove non sono i benvoluti? Nessuno.
Lo sanno tutti, compreso il legislatore, si direbbe in gergo tecnico. Lo sanno benissimo anche i leghisti che fortemente hanno auspicato l’introduzione di tale reato immaginario e che adesso devono confrontarsi con il dolore che comporta la loro tignosa “tolleranza zero”. Forte di un consenso indiscusso nel Nord, la Lega prosegue nella propria politica miope che a poco a poco ha modificato e imbarbarito non solo il diritto, ma anche l’animo di molti. Non si nasce solidali e accoglienti perché dalla notte dei tempi Hobbes dimostra il torto di Rousseau, ma l’amore, la pietà e la giustizia sono il frutto di politiche lungimiranti adottate da una classe dirigente avveduta, che arginando l’esplosione degli istinti più biechi, tenta di garantire conservazione della coesione sociale.
Ormai da troppi anni, anche a Brescia, piovono parole dure come pietre e la caccia all’untore è aperta.
Ieri gli untori seminavano la peste a Milano, oggi si aggirano per le vie del centro storico senza quel benedetto pezzo di carta. Ecco qualunque “sans papier” deve essere braccato e perseguito affinchè si avveri la profezia di Brecht. Saidou è morto perché è nato nel posto sbagliato e desiderava vivere in quello “giusto”, solo che, in quello “giusto”, tutti i posti sono occupati. Non è colpa dei leghisti, quella di essere nati proprio al Nord, ma nemmeno un merito. Solo una grande responsabilità.