Pasotti: assente una classe dirigente autorevole
di Federica Papetti – Corteggiato da più parti anche alle ultime lezioni amministrative, Flavio Pasotti, già presidente di Api, non nasconde il proprio interesse per la vita politica e collega tale passione civile alla formazione ricevuta al liceo “Arnaldo”. Un percorso di studio che lo ha spinto a riflettere, continuare a studiare e ad affrontare la vita senza compartimenti stagni, come direbbero, appunto, i suoi i professori. Pasotti conversa con Bsnews sui temi dell’attualità bresciana.
Colpa dell’Arnaldo, quindi, la sua passione per la vita civica e civile, una passione che si affianca ad una solida cultura imprenditoriale?
Si, questo approccio rimane un eterno debito nei confronti della mia formazione liceale. Un debito perché chi ha ricevuto questi strumenti è doveroso che li utilizzi per un fine comune. Direi che è’ doveroso restituire alla collettività ciò che è stato dato.
A fronte di una formazione spiccatamente umanistica, lei rimane un imprenditore, un uomo con il pallino dell’economia, era proprio la strada che voleva percorrere?
Si. L’impresa è una tradizione di famiglia, ma proprio mio padre non voleva che seguissi le sue orme, entrando in azienda. Invece, verso i 25, 26 anni sono entrato nell’azienda di famiglia sulla scia dell’innovazione, perché ero l’unico che sapeva utilizzare un computer. Diciamo che esordivo con il coraggio di non farmi spaventare da una tastiera. Poi mi sono avvicinato al settore commerciale e ho iniziato a viaggiare per il mondo, maturando nuovi interessi imprenditoriali e consolidando una passione che perdura.
Non posso chiederle, dunque, se in un momento così difficile per l’economia si è pentito?
Rischio, quindi, sono un imprenditore. Se avessi ragionato da manager non lo avrei fatto.Ma torniamo all’altra sua passione, perché non è mai “sceso in campo”?Anche alle ultime amministrative ritengo non ci fosse lo spazio per una candidatura proveniente dalla società civile ed un bene che sia così perché, in caso contrario, significa che la politica non possiede una sua vision, una propria autorevolezza. Quando la società civile si sostituisce alla politica significa che quest’ultima ha fallito. Ho mosso i primi passi in questo mondo tra gli anni Settanta e Ottanta, un periodo davvero difficile e considero miei maestri uomini dalla fede repubblicana come Visentini, La Malfa e Spadolini.
Alla luce di queste brevi considerazioni come giudica la politica bresciana?
Brescia sta vivendo una profonda trasformazione e l’immigrazione rappresenta uno dei fenomeni più delicati da gestire, ma anche il più imponente, basti pensare che oggi il 30 per cento della popolazione bresciana è composta da migranti. E poi è in corso lo spopolamento della città, altro dato strutturale che richiederebbe adeguate riflessioni. Eppure, io constato la mancanza di una classe dirigente. Mancano persone che studiano, uomini che riflettono, politici che sappiano leggere e interpretare tali fenomeni sociologici. Guardi che non mi riferisco solo a chi governa, la mancanza di una classe dirigente investe tutti, opposizione compresa. Brescia è una città difficile da governare, richiede raffinate intelligenze.
A proposito di immigrazione, lei che idea si è fatto della protesta degli immigrati sulla gru?
Prima di tutto voglio premettere che la Lega, unico partito nei fatti, solleva problemi reali anche se sbaglia quando scarica l’insicurezza sugli immigrati. La Lega tocca temi sui quali la politica ha fallito. In secondo luogo va sottolineato che a Brescia, soprattutto, il lavoro ha sempre rappresentato un grande valore di coesione sociale ( per un bresciano il difetto peggiore è sicuramente l’ignavia e la pigrizia ). Un valore prepolitico, ma fondativo per la comunità.Quanto alla protesta sulla gru, ritengo che i centri sociali abbiano usato gli immigrati come degli scudi umani per una lotta contro la Lega. Hanno giocato sulla loro pelle. Mentre per quanto riguarda il contenuto, ossia la sanatoria, nessun partito era nelle condizioni di sostenerne una nuova, quindi si è deciso di agire “all’italiana” infilando tutte le richieste in quella per colf e badanti.
Lei da imprenditore ritiene che il mondo economico abbia ancora bisogno di manodopera straniera?
Il mondo del lavoro è molto cambiato, e in pochi anni. Oggi di fronte alla crisi ed alla mancanza di posti molti immigrati hanno già fatto le valigie e si sono trasferiti in altri Paesi dov’è maggiore l’offerta. Il mondo del lavoro è un caleidoscopio potente delle trasformazioni in atto perché le registra quasi in tempo reale. A Brescia, dove prevale il settore manifatturiero, gli immigrati regolari erano la norma, motivo per cui la mobilità è facile e motivo anche di minore tensione sociale. Gli irregolari sono presenti in settori come servizi, edilizia o commercio, comparti dove i numeri sono limitati. Un’analisi per dire che oggi anche una nuova sanatoria non avrebbe quell’impatto che poteva suscitare solo qualche anno fa. Oggi, però, anche nel manifatturiero sono numerose i cassaintegrati, è quindi impensabile gestire l’immigrazione con i parametri della manodopera locale.
Cambiando argomento, a suo parere la Giunta dovrebbe dimettersi visto l’evolversi giudiziario della querelle, carte di credito?
Per ora non c’è alcun rinvio a giudizio, ma solo un’ indagine aperta. Questo per quanto riguarda la parte penale, mentre il pagamento effettuato dal sindaco Paroli non è altro che una rifusione del danno di fronte alla Corte dei Conti, ma nello stesso tempo un’ammissione di responsabilità della Giunta.
Lei è anche tra i fondatori dell’Accademia di Cultura Cattolica. Quali obiettivi si pone questa nuova iniziativa culturale?
Vuole essere un laboratorio per ricostruire un modello di convivenza civile e quindi guarda lontano e non, come qualcuno ha ipotizzato, ad una civica per le prossime elezioni. E’ il tentativo di rimettere in pista la capacità di riflettere tramite un dialogo tra cattolici laici e culture diverse.