Questa è la seconda opera di Mozart con cui mi trovo a “combattere” ma questa è, soprattutto, tutto Mozart.
Fiumi e fiumi di parole hanno sempre accompagnato le numerose edizioni teatrali, e non, de Il flauto magico; aggiungerne qualcuna in più e di tenore così sommesso non credo possa avere molta importanza.
Nel mio lavoro di proporre quello che l’opera ha suggerito al mio spirito, non ho assolutamente voluto vivisezionare questo straordinario capolavoro musicale per enumerare ed analizzare riposte o palesi simbologie e recondite semplificanze.
Non ho avuto neppure la pretesa di sottolineare “quel che Mozart volesse dire” o di interpretare ciò che la musica o il libretto dicono.
Sono convinto fermamente che l’opera d’arte, o meglio, il bello, ci appaia sempre, e comunque, come un inscindibile insieme di intenzionalità e di casualità o, per dirla con l’intramontabile Aristotele, occorre avere sempre presente il come, il dove, il perché, il quando, e così via
Le categorie del teatro, insomma.
L’anno della composizione, il 1791, Schikaneder, il suo teatro popolare e il pubblico a cui si rivolgeva ma, soprattutto, Mozart e la cultura del tempo e la sua, in particolare, che abbracciava tutto come le origini dei singoli personaggi o le situazioni rintracciabili in racconti precedenti o coevi alla composizione del Flauto, l’aspetto iniziatico, la simbologia fiabesca, i miti dell’antico Egitto e del poeta Orfeo, i rituali massonici, tutto, proprio tutto rinasce e si trasfigura nella maturazione artistica ed umana di Mozart.
E’ proprio questo tutto che cerco di riportare sulla scena per trasformare in visivo ciò che la musica ha esaltato. Il luogo dell’azione, innanzitutto: un’alternanza di materiali lignei composti armonicamente con elementi pittorici che richiamano il teatro Barocco, quello in cui trovano luogo anche alcune macchine semplici tali da restituire il gusto popolare del pubblico per cui l’opera era nata.
In questa idea di fondo rientra il gioco cromatico dei costumi intesi ad accompagnare l’inno alla vita e all’amore che si sprigiona costantemente nel cammino di chi è iniziato, una sorta di dissoluzione prima della rigenerazione.
Eugenio Monti Colla
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