Brescia-Avetrana, 1000 km in Italia

(a.t.) Mille-zero-quattro chilometri sono la distanza esatta che separa Avetrana da Brescia. Ma in verità l’”operosa Leonessa", provincia della Padania, e quel remoto angolo di Puglia – “la regione più padana del Sud”, come l’ha definita un parlamentare leghista – non sono poi così lontani.

Innanzitutto ci sono le coincidenze. C’è l’avvocato Walter Biscotti, che prima – nel processo sulla Strage di piazza Loggia – invoca Giustizia a nome dei familiari di Luigi Pinto, una delle otto vittime della bomba del 1974. Quindi, poche ore più tardi, percorre quei mille chilometri carichi di simboli e scende fino ad Avetrana per invocare la stessa Giustizia – o qualcosa di molto simile – a nome della famiglia della piccola Sarah Scazzi. Ma tra la Padania e la “Padania” ci sono anche le stesse migliaia di cittadini catodici che stanno incollati per ore davanti allo schermo.

Interessa a ben pochi, ormai, sapere chi mise quella terribile bomba che un 28 maggio “qualsiasi” segnò in maniera indelebile la vita civile di Brescia e del Paese: una domanda a cui oggi, dopo 36 anni, si potrebbe finalmente rispondere con un nome e un cognome (addirittura quattro secondo l’accusa). Parlare della Strage non fa vendere una copia in più ai giornali e non fa guadagnare nemmeno un punto di share alle televisioni. Lo si fa ormai soltanto per “dovere” di cronaca. Ed è grave, in un Paese che attraverso i suoi media si guarda immancabilmente allo specchio, che la distanza con il barbaro assassinio di Sarah sia in questo così grande. E’ grave perché la colpa originale risiede almeno tanto nell’offerta quanto nella domanda. La domanda di noi tutti, spettatori bresciani e italiani, che chiediamo di soddisfare i nostri appetiti – perché di pancia e non di testa stavolta si parla – e di sapere cosa è davvero successo in quel garage il 26 agosto.

Eppure l’immagine del “mostro” che parla coi giornalisti non è una cosa nuova per Brescia, dove qualcuno forse ricorda ancora il placido faccione di Guglielmo Gatti che dietro il cancelletto della villetta di via Ugolini commenta l’improvvisa sparizione degli zii (per cui, poi, verrà condannato all’ergastolo). Più d’uno, forse, ha in testa il sorriso ingenuo di Erika De Nardo – ancora detenuta a Verziano per aver ucciso la madre e il fratellino a Novi Ligure – che gioca sorridente a pallavolo in un campetto di Buffalora. Tanti, ancora, conoscono la vicenda di Hina Saleem, vittima di un’assurda tragedia fatta di ignoranza, violenza tribale (religiosa, preciserebbero alcuni) e mancata integrazione.

Non è difficile spiegare perché queste tragedie – queste "storie" – siano entrate così rapidamente nella memoria collettiva. Né è complicato capire perché il delitto di Avetrana le abbia superate nell’immaginario collettivo, col suo perfetto mix di erotismo, violenza, famiglia, giallo e televisione. Tutti questi elementi potrebbero essere rinchiusi simbolicamente nell’immancabile feticcio del plastico di Bruno Vespa, uno dei reperti archeologici attraverso cui, domani, i posteri studieranno la direzione in cui stava viaggiando il Paese a cavallo del Duemila. Ma possiamo già dircerlo senza timori. Dove stanno andando Brescia e Avetrana, oggi, è abbastanza chiaro. E – da Padania a “Padania”, in quei mille chilometri di paese reale – sorge il legittimo dubbio che si tratti della direzione sbagliata.  

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Redazione BsNews.it

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