di Renato Borsoni – Durante uno dei talk-show televisivi che si vanno a uno a uno estinguendo con larrivo dellestate è comparsa sere fa allimprovviso una faccia nuova: una giovane signora con un bel viso mediterraneo, che ha vissuto gli ultimi quindici anni allestero. In Spagna, mi pare, per studio. A domanda del conduttore: Come ha trovato lItalia al suo ritorno? la risposta è stata immediata: Stanca. Mi ha molto impressionato questa sintesi spiazzante rispetto al diffuso parlarsi addosso, al rumoreggiare delle polemiche quotidiane, al continuo accavallarsi di grida e di rivelazioni che spesso durano larco di pochi giorni, oppure si trascinano a tempo indeterminato senza mai trovare soluzioni. Il ruolo della televisione, è evidente, è il primo responsabile del generalizzato appiattimento: ma ne può anche essere lo specchio fedele, come per esempio è capitato ieri sera, quando nellultima trasmissione di Anno zero di solito unaspra, persino esasperata contrapposizione di volti noti è risuonata per tutta la sera in versione italiana la vocalità bresciana, inconfondibile per le nostre orecchie. Veramente si parlava di Padania, ma a me è parso che quei volti e quelle voci fossero quasi tutte dei nostri, o tuttal più di qualche provincia limitrofa, molto limitrofa. Ecco, questi agricoltori gli intervistati, ovviamente, ma limpressione era di un sentimento diffuso hanno parlato di stanchezza. La giovane signora tornata dalla Spagna laveva avvertita nellaria. Gli allevatori bresciani sulla loro pelle: sulle loro vite, sulle speranze nel futuro, sul non trovare più voce né luoghi per far sentire il loro dissenso che li porta irrimediabilmente, a loro dire, allestinzione delle loro attività. È una lotta, la loro, che parte dalla questione delle quote latte, iniziata più di un quarto di secolo fa, che non soltanto non ha ancora trovato soluzione, ma si è trovata intrappolata in interessi che sfuggono totalmente a possibilità di reazioni e di soluzioni. È brutta, la stanchezza. Non facciamo finta di non leggerla anche su altri occhi: su quelli degli insegnanti responsabili del futuro civile dei nostri figli (e nipoti), non ancora su quelli dei prigionieri volontari dellAsinara. Per fortuna, almeno sembra di non avvertirla sulle espressioni dei tanti volontari della solidarietà diffusi più di quanto non appaia sugli schermi televisivi. Ma non possono bastare.
DA IL QUOTIDIANO IL BRESCIA – 11 GIUGNO 2010